Archive for January 2011
Il soldato dimenticato XXI – Il treno dell’orrore
Improvvisamente il treno rallentò. I blocchi dei freni grattarono contro le ruote, e I giunti sbatterono violentemente. Ci stavamo muovendo alla velocità di una bicicletta. Vidi la parte anteriore del treno girare a destra: stavamo deviando lungo un binario secondario. Il treno procedette per altri cinque minuti, e poi si fermò. Due ufficiali erano saltati giù da uno dei vagoni anteriori e stavamo camminando verso la parte posteriore del treno. Laus e altri due sergenti uscirono per incontrarli. Parlarono per un momento, ma non ci dissero nulla. Le persone lungo tutto il treno guardavano fuori. La foresta sembrava un possibile covo di terroristi. Il nostro treno era fermo da alcuni minuti quando udimmo un suono distante di ruote. Camminavamo su e giù per cercare di scaldarci quando il fischio del treno accompagnato da gesti indicò che dovevamo nuovamente ritornare ai nostri . Una locomotiva apparì a distanza sul binario che avevamo appena lasciato, era interamente oscurata.
Quello che vidi dopo mi gelò dal terrore. Desideravo essere uno scrittore geniale così avrei potuto fare giustizia della visione che apparve ai nostri occhi. Prima vedemmo un vagone carico di materiale ferroviario, spinto dalla locomotiva che nascondeva le sue luci fioche. Poi arrivò la locomotiva fumante, il suo carro di scorta, e un vagone chiuso con un buco sul tetto per il fissaggio di un fumaiolo corto, probabilmente il treno cucina. Dietro questo, un altro vagone con alti parapetti che portava soldati tedeschi armati. Una mitragliatrice a doppia canna difendeva il resto del treno, che consisteva semplicemente di vagoni aperti e piani come i nostri, ma carichi, con un estremamente differente tipo di carico. Il primo di questi che passò davanti ai miei occhi incomprensivi sembrava stesse portando un cumulo confuso di oggetti, che solo gradualmente divenne riconoscibile come un mucchio di corpi umani. Direttamente dietro questo mucchio altre persone si tenevano aggrappate insieme, in piedi o accovacciati. Ciascun vagone era colmo fino all’inverosimile. Uno di noi, più informato degli altri, ci disse in due parole quello che stavamo guardando: “prigionieri russi”. Pensavo di aver riconosciuto I cappotti marroni che avevo visto una volta in precedenza, vicino al castello, ma era realmente troppo scuro per essere sicuro. Hals mi guardò. Eccetto che per delle macchie rosse brucianti causate dal freddo, la sua faccia era bianca come un lenzuolo.
Il soldato dimenticato XX – Verso Minsk
Nel corso della sua strigliata ci aveva fatto capire, abbastanza giustamente, che se non potevamo sopportare un po’ di freddo e un vago, possibile pericolo, noi non saremmo mai sopravvissuti al fronte. Sarebbe stato certamente idiota essere uccisi da qualche anarchico prima di aver potuto vedere qualche cosa. Stavamo viaggiando attraverso una foresta di pini tozzi, coperti dalla neve. Avevo un mucchio di tempo per riflettere il problema di coscienza che il sergente mi aveva inculcato. Il nord della Polonia sembrava essere scarsamente popolato. Avevamo superato solo pochi piccoli villaggi. Improvvisamente, proprio di fronte al treno, notai una figura correre accanto ai binari. Non pensavo che potevo essere la sola persona che l’avesse notato, ma apparentemente nessuno nei vagoni di testa stava facendo qualche cosa. Rapidamente misi il mio Mauser in posizione utile, e presi la mira verso qualcuno che poteva essere un terrorista.
Il nostro treno stava procedendo molto lentamente: un perfetto obiettivo per una bomba. In pochi minuti ero all’altezza dell’uomo. Non potevo scorgere nulla di inusuale in lui. Era probabilmente un boscaiolo polacco che era venuto per curiosità. Mi sentivo sconcertato. Ero stato sul punto di far fuoco, e ora nulla sembrava giustificarlo. Mirai deliberatamente sulla sua testa e tirai il grilletto. Lo sparo scosse l’aria, e il calcio del mio fucile colpì violentemente la mia spalla. Il povero tipo scappò via il più velocemente possibile, ovviamente temendo il peggio, e sentivo certamente che la mia sconsiderata azione aveva creato un altro nemico del Reich. Il treno mantenne la sua velocità, e pochi minuti dopo Laus apparì, continuando la sua infinita ronda malgrado il freddo. Mi lanciò uno sguardo curioso.
Avevamo deciso di prestare servizio a turno. Mentre due di noi controllavano, il terzo avrebbe cercato di scaldarsi sotto il telone. Eravamo stati sul treno per circa 8 ore, e ci sentivamo preoccupati per la notte, che sarebbe stata trascorsa indubbiamente in queste condizioni. Venti minuti prima avevo preso il posto di Hals, e per ventiquattro minuti ero stato incapace di controllare il mio violento tremolìo. La notte si stava avvicinando; forse anche Minsk. Il treno si muoveva lungo un solo binario. A Nord e a Sud eravamo circondati dalla foresta scura. Nell’ultimo quarto d’ora il treno accellerò, e tale fatto avrebbe indubbiamente causato le nostre morti per congelamento. Avevamo anche consumato una gran parte delle nostre razioni per mantenerci caldi
Il soldato dimenticato XIX – Laus, il nostro feldwebel
Cosa diavolo pensate di fare qua sotto? Laus gridò. Dove, in nome di dio, pensate di essere e che cosa pensate voi dobbiate fare su questo treno? Hals, spontaneo di natura, interruppe il nostro superiore. Disse che era impossibile stare all’esterno del telone perchè il freddo era terribile, e non c’era nulla da sorvegliare in ogni caso. Sembrava che nel fare queste osservazioni, Hals dimostrasse una mancanza totale di oggettività. Come un gorilla arrabbiato il sergente prese il nostro compagno per il colletto e lo scosse violentemente, riempendolo con un torrente di insulti.
Vi farò rapporto! Alla prima fermata possibile, vi manderò a un battaglione disciplinare. Questo è nulla rispetto alla pena prevista per l’abbandono del posto di guardia. Potreste avere il plotone d’esecuzione….che cosa sarebbe accaduto se un vagone fosse esploso dietro di voi? Voi non avreste avvertito nessuno da quel vostro buco!
Perchè? Lensen chiese. C’è un vagone che sta per esplodere? Chiudi la bocca idiota!!! Ci sono terroristi lungo l’intersa linea, pronti a rischiare qualsiasi cosa. Quando non fanno saltare I treni, lanciano esplosivi o bombe incendiarie. Vi trovate qui precisamente per prevenire queste azioni. Prendete I vostri elmetti e venite davanti al vagone, o butterò tutti giù dal treno !
Non aspettammo che lo ripetesse, e malgrado il freddo che mordeva le nostre facce, prendemmo le posizioni che ci aveva attribuito. Laus procedette attraverso i vagoni carichi, aggrappandosi come si spostava da uno all’altro. Non era veramente un prepotente, ma un uomo con una chiara idea che il lavoro doveva essere svolto. Non lo vidi mai cercare di rendere le cose più semplici per se stesso, dovuto probabilmente al fatto che sentivo che doveva avere una vena di simpatia, anche se non gli avevo ancora mai parlato. Nessuno degli altri sergenti della compagnia erano così rigidi; chiedevano di essere risparmiati per un grande lavoro; ma quando arrivava il momento Laus lavorava come se non più di loro. Era il più anziano dei sergenti; forse era già stato al fronte. Infatti, era come ogni sergente maggiore nel mondo: paura della responsabilità, e allo stesso tempo ci procurava momenti duri.
Il soldato dimenticato XVIII
Eravamo perseguitati dalla cattiva sorte. Eravamo bloccati su un vagone aperto; la pioggia si era trasfomata in neve; il freddo insopportabile era intensificato dal movimento del treno. Dopo le dovute considerazioni ci rifugiammo sotto l’incerata che ricopriva il grande motore di un dornier 17. Questa manovra ci difese dal freddo, e stringendoci l’un l’altro, cercammo di raggiungere una parvenza di calore. Stavamo là già da un’ora buona, urlando con riso sul nulla. Il treno intanto stava rotolando via e noi non avevamo la più’ pallida idea di quello che stava accadendo fuori.
Di tanto in tanto potevamo udire treni che andavano in altra direzione. All’improvviso , Lensen penso’ di aver sentito una voce gridare oltre il rumore delle ruote. Attentamente si affaccio’ fuori dal nostro riparo. E’ Laus, disse con calma, girandosi verso di noi e tirando giu’ il telone di nuovo.
Dieci secondi più tardi, il telone fu sollevato di nuovo a rivelare il sergente, fumante di rabbia alla vista delle nostre 3 facce felici. Laus, che indossava elmetto e guanti, sembrava molto arrabbiato. La sua faccia e il cappotto erano impolverati dalla neve, come il resto del treno, il cui lungo profilo sobbalzava e dondolava dietro di lui. L’aria risuonò di un acuto “Achtung” ma il movimento spasmodico del treno prevenì che l’ordine fosse eseguito con la consueta rigida precisione. La scena che seguì è degna di una caricatura. Posso ancora vedere il grande orsacchiotto Hals, che dondolava da destra a sinistra come se cercasse di mantenere una postura rigida. In quanto a me, il mio lungo cappotto si era incastrato in una delle numerose sezioni del motore dell’aereoplano, tale fatto mi impedì di raddrizzarmi. Laus non era meglio di noi nel mantenere un atteggiamento dignitoso. Finalmente, esasperato, si chinò con un ginocchio sul pavimento. Seguimmo il suo esempio, e da una certa distanza potevamo essere considerati una quartetto di cospiratori che sussurravano segreti. Infatti, io e i miei compagni stavamo subendo una magistrale ramanzina.
Il soldato dimenticato XVII
Il nostro sergente si era sistemato su una pila di bagagli ferroviari e si accese una sigaretta. Sembrava stanco. Non potevamo accettare l’idea di una notte all’agghiaccio. Sembrava impossibile che ci avrebbero lasciato là. Sapevamo che il fischio della partenza ci sarebbe stato presto, e che tutti quegli idioti che non avevano avuto la pazienza di aspettare, non avrebbero poi avuto molto tempo per impacchettare i loro sacchi a pelo in fretta. Ma a conti fatti, avremmo fatto meglio a imitarli e guadagnare così due ore di sonno; due ore più tardi stavamo ancora seduti sulle pietre fredde della strada. Stava diventando sempre più freddo, e una pioggerellina aveva comininciato a cadere. Il nostro sergente era indaffarato a costruirsi un riparo con i bagagli ferroviari, non una cattiva idea dopotutto. Quando coprì il tutto con la sua coperta impermeabile, era completamente riparato – la vecchia volpe!!!!
Dovevamo ora trovarci qualche riparo per di più. Non potevamo spingerci troppo lontano dalle nostre armi, ma le lasciammo nondimeno, con le loro canne all’aria, esposte alla pioggia, aspettandoci una ramanzina più tardi. I posti migliori ovviamente, erano già stati presi per tempo, e la sola cosa che noi potevamo fare fu quella di trovare riparo sotto I vagoni ferroviari. Certamente ci era venuto in mente di provare ad entrare, ma le porte erano chiuse con cavi metallici. Pieni di proteste, strisciammo nei nostri ripari inquientanti e allo stesso tempo approssimativi. La pioggia ci batteva ai lati, ed eravamo furiosi. Più tardi questa rabbia mi fece sorridere.
Come meglio potemmo, allestimmo un qualche riparo dalla pioggia. Era questa la mia prima notte all’aria aperta, e non c’è bisogno di dire che non chiusi mai I miei occhi per più di quindici minuti alla volta. Posso ricordare I lunghi periodi in cui fissavo la grande asse che fungeva da tetto del mio letto. Essa spesso sembrava come se si stesse muovendo a causa della mia stanchezza, come se il treno stesse per muoversi; mi sarei svegliato all’improvviso per scoprire che nulla era cambiato, piombando di nuovo nel dormiveglia, solo per svegliarmi di nuovo di soprassalto all’erta. Al primo raggio di luce, abbandonammo questo riparo di fortuna, intorpiditi e indolenziti, come una squadra di cadaveri dissepolti.
Ci allineammo alle otto, e marciammo al binario d’imbarco. Hals sottolineò diverse volte che avremmo potuto perfettamente trascorrere un’altra notte al castello. Nessuno di noi aveva la più pallida idea delle necessità deprimenti della vita militare in tempo di guerra. Questa non era stata che la nostra prima notte fuori, ma eravamo destinati a trascorrerne molte altre che sarebbero state di gran lunga peggiori. Per il momento eravamo a guardia del treno. La nostra compagnia era stata divisa fra tre lunghi convogli di materiale militare, due o tre per vagone. Mi ritrovai con Hals e Lensen su un vagone piatto che portava ali di aereoplano contrassegnate con una croce nera, e altre parti coperte da teloni. Erano I rifornimenti destinati alla Luftwaffe; secondo le iscrizioni che avevamo potuto leggere, provenivano da Ratisbona e stavano andando a Minsk. Mink, Russia. Le nostre bocche improvvisamente diventarono secche.
Il soldato dimenticato XVI – verso Stalingrado –
Il battesimo del fuoco. 1 novembre, 1942.
Eravamo in piedi accanto a un lungo convoglio ferroviario . Ci era stato ordinato di allinerare i nostri fucili sui binari e toglierci gli zaini. L’ora era più o meno fra le dodici e l’una. Laus stava sgranocchiando qualcosa che aveva preso dal suo zaino. Il suo volto, anche se poco attraente, ci era diventato familiare, perfino rassicurante. Come se il suo gesto fosse in qualche modo un segnale, noi tutti tirammo fuori il nostro cibo, qualcuno immediatamente divorando l’equivalente di due pasti. Laus notò questo, ma si accontentò di un breve commento: “Va bene, andate avanti, buttatelo giù tutto . Ma non ci sarà un’altra distribuzione prima che la settimana sia finita.”
Anche se ci sentivamo come se avessimo mangiato solo la metà di quello che avevamo realmente bisogno per placare I nostri appetiti giganti, sentimmo anche un pò più di caldo. Ormai stavamo aspettando al freddo da più di due ore, e stava iniziando a congelarci. Camminavamo su e giù, scherzando e pestandoci I piedi. Qualcuno, che aveva della carta, scrisse delle lettere, ma le mie dita erano troppo indolenzite, e mi accontentai di osservare. I treni, carichi di materiale da guerra, passavano continuamente per la stazione, che si era trasformata in un grande collo di bottiglia, con convogli che si muovevano, solo per essere spinti su un altro binario, dove altre compagnie portate solo dio sa da dove, stavamo in attesa come noi, Le persone si toglievano dalla via per far passare un treno, solo per vederlo pochi minuti dopo diretto verso la direzione opposta. Che confusione!!!
Il treno a cui stavamo appoggiati sembrava essere stato immobilizzato per l’eternità. Forse sarebbe stato meglio se non fosse mai partito. Per tenermi in movimento, mi sollevai fino alle prese d’aria dei vagoni. Invece di bestiame, il treno era pieno di munizioni. Ormai eravamo nella stazione da 4 ore, e stavamo gelando. Diventava sempre più freddo e l’oscurità stava arrivando, e per uccidere il tempo ci buttamo ancora una volta a mangiare le nostre provviste. Anche se era abbastanza buio, il traffico continuava, scarsamente illuminato. Laus stava cominciando ad averne abbastanza. Con il suo berretto spinto fino alle sue orecchie, e il suo bavero alzato, stava camminando su e giu per scaldarsi; doveva aver percorso almeno 10 miglia
Avevamo formato un piccolo gruppo di amici da Chemnitz, che non si sarebbe diviso che molto tempo dopo. Lensen, Olensheim, e Hals, tre tedeschi che parlavano male il francese come io parlavo il tedesco; Morvan, un alsaziano; Uterbeik, un austriaco scuro e riccio come un ballerino italiano, che alla fine si distaccò dal nostro gruppo; e io, un franco-tedesco. Fra noi sei, stavamo facendo progressi in entrambe le lingue, eccetto che il dannato Uterbeick, che non si fermava mai dal canticchiare canzoni d’amore italiane sottovoce. Queste malinconiche melodie erano fuori luogo e totalmente estranee alle orecchie più avvezze a Wagner che ai compositori italiani, specialmente quei lamenti di un innamorato contadinotto napoletano.
Hals aveva un orologio con un quadrante luminoso che ci informava che erano già le otto e trenta. Ci sentivamo sicuri che la nostra partenza fosse imminente, che non ci stavano per lasciare sul binario della stazione per la notte. Ma finì proprio così. Dopo un’altra ora, alcuni uomini srotolarono le coperte da notte e le allungarono come meglio potevano lungo una superficie elevata, per una minima protezione dall’umidità. Alcuni ebbero perfino la temerarietà di dormire sotto il treno, sperando che non avrebbe iniziato a muoversi.
Il soldato dimenticato XV – pertenza per il fronte
30 ottobre 1942. Una volta ancora ci troviamo nel cortile sotto questa dannata pioggia. Danno a ognuno di noi un Mauser registrato e 25 caricatori. Non so se è una reazione a ricevere queste armi, ma noto che ogni soldato è diventato pallido. Certamente possiamo tutti giustificarci per questo: nessuno nella compagnia ha più di 18 anni. Io stesso ne avrò ancora diciassette per altri due mesi e mezzo. Il tenente nota la nostra confusione, e per sollevare i nostri animi ci legge l’ultimo comunicato della Wermacht. Von Paulus è sul Volga, von Richtofen è vicino Mosca, e gli anglo-americani hanno subito grandi perdite nei loro tentativi di bombardare le città e i paesi del Reich. Il nostro ufficiale sembra riassicurato dalle nostre grida di risposta di “Sieg Heil”. L’intera 19th compagnia sta sull’attenti di fronte la bandiera.
Laus, il nostro sergente, è là, con elmetto e completamente equipaggiato. Al suo fianco porta una lunga pistola automatica in una custodia di pelle nera, che luccica sotto la pioggia. Stiamo tutti in silenzio. L’ordine di muoversi suona come un improvviso suono di un fischio di un treno espresso: Achtung! Rechts um (fianco destro). Via (Raus)!
In tre, lasciamo il posto che era stato la nostra casa durante la nostra prima esperienza nell’esercito. Attraversiamo il ponte di pietra per l’ultima volta, e partiamo per la strada che ci portò qui un mese e mezzo fa. Guardo dietro diverse volte alla imponente massa grigia dell’antico castello Polacco che non rivedrò mai più, e mi sarei arreso alla malinconia se la presenza dei miei compagni non avesse sollevato il mio animo. Arriviamo a Bialystok, un mare di uniformi verdi, e marciamo verso la stazione.