Il soldato dimenticato- XXII
Hai visto? Sussurrò. Hanno ammassato l’uno sull’altro i loro morti per ripararsi dal freddo. Esterrefatto potei solo rispondere con qualche cosa che somigliava a un gemito. Ogni vagone portava uno cumulo di corpi umani. Rimasi come pietrificato dall’orrore della scena che mi scorreva davanti: facce interamente prosciugate del sangue, e piedi nudi irrigiditi dalla morte e dal freddo. Il decimo vagone ci aveva appena sorpassato quando qualcosa di perfino più orribile accadde. Quattro o cinque corpi scivolarono via dal carico malamente bilanciato e caddero al lato dei binari. Il treno funereo non si fermò. Un gruppo di ufficiali e sottufficiali dal nostro treno sopraggiunse per investigare. Guidato da non so quale elemento di curiosità saltai giù dal vagone e mi diressi verso gli ufficiali. Salutai e chiesi con una voce tremolante se gli uomini fossero morti. Un ufficiale mi guardò attonito e capii che avevo appena abbandonato il mio posto di guardia. Doveva aver notato la mia confusione, dato che non mi rimproverò.
Lo penso anch’io, disse tristemente. Puoi aiutare i tuoi compagni a seppellire quei poveri corpi. Poi si voltò e si allontanò. Hals era venuto com me. Tornammo al nostro vagone per prendere le pale e iniziammo a scavare trincee ad una breve distanza sopra l’argine. Laus e un altro tipo perquisirono gli abiti degli uomini morti per tentare di trovare qualche elemento utile ad identificarli. Appresi più tardi che la maggior parte di quei poveri diavoli non aveva identità da civile. Hals e io avemmo bisogno di tutta la nostra capacità di sopportazione per trascinare due di loro oltre il fossato senza guardarli. Stavamo ricoprendoli con terriccio quando fischiò il segnale di partenza. Stava diventando più freddo da qualche minuto. Mi sentii sopraffatto da un vasto senso di disgusto.
Un’ora dopo il nostro treno passò attraverso una doppia barriera di strutture e, malgrado l’assenza di luce, potevamo vedere che fossero più o meno distrutte. Incrociammo un altro treno, meno sinistro del precedente, ma scarsamente confortevole. I suoi vagoni erano marcati con croci rosse. Attraverso qualche finestrino potemmo vedere delle barelle, che dovevano trasportare a malapena gli uomini feriti. Da un altro finestrino, soldati avvolti nelle bende ci stavano salutando. Finalmente arrivammo alla stazione di Minsk. Il nostro treno si fermò per tutta la sua lunghezza presso una banchina piena di una folla indaffarata ed eterogenea: soldati armati e di corvè, civili, e gruppi di prigionieri russi legati ad altri prigionieri che indossavano fasce al braccio rosse e bianche e portavano dei manganelli. Questi erano gli informatori che avevano denunciato i famosi “commissari del popolo” ed erano perciò anti comunisti. Reclamavano il diritto di sorvegliare i loro compagni, il che andava molto bene alle nostre autorità, dato che nessuno avrebbe sperato di ottenere un giorno di lavoro decente dai prigionieri russi.
Potemmo udire gli ordini che venivano impartiti, prima in tedesco, poi in russo. Una folla di uomini venne verso il nostro treno, e lo scarico iniziò alle luci dei camion parcheggiati lungo la banchina. Prendemmo parte al lavoro, che richiese due ore buone, ci scaldammo un poco, poi ci gettammo ancora una volta sulle nostre provviste. Hals, uno stomaco insaziabile, aveva consumato più della metà della sua assegnazione in meno di due giorni. Passamo la notte in un grande edificio dove fummo capaci di dormire secondo un buon livello di confort. Il giorno successivo fummo inviati a un ospedale militare, dove fummo trattenuti per due giorni e ci vennero dati una serie di caricatori. Minsk era molto danneggiata. C’erano molte case sventrate e mura segnate dal fuoco delle mitragliatrici. Alcune strade erano totalmente impraticabili, con una linea continua di buchi d’artiglieria e crateri di bombe, spesso profonde più di quindici piedi
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