Il soldato dimenticato XXVI – Dicembre 1942
Si, tenente. Bene, allora buon natale! Che cosa? E’ natale? Si. Guarda laggiù, Indicò la casa dei Khorsky. Il tetto, pieno di neve, arrivava fino al livello del terreno; le strette finestre brillavano più intensamente di quello che le regolamentazioni del blackout generalmente permettevano, e in quella luce potei vedere le forme in movimento veloci dei miei compagni. Pochi momenti dopo una fiamma altissima si alzò da un enorme cumulo di legna che doveva essere stata inzuppata di gasolio. Una canzone accompagnata da trecento voci salì lentamente nell’immobilità della notte gelata. O Weihnacht! O stille Nacht! Era possibile? In quel momento, ogni cosa oltre il perimetro del campo era senza significato per me. Non potevo distogliere I miei occhi dalla luce del falò. Le facce più vicine alle fiamme erano illuminate; il resto si perdeva nell’oscurità, mentre il forte suono della canzone continuava, diviso ora in diverse parti. Forse le circostanze di questo particolare natale facevano una differenza sostanziale, ma era parecchio tempo dall’ultima volta che avevo sentito qualche cosa che non mi commuovevo così tanto.
Le memorie della mia prima giovinezza, ancora così vicina, mi ritornarono in mente per la prima volta da quando ero diventato un soldato. Che cosa stava accadendo a casa quella sera? Che cosa stava accadendo in Francia? Avevamo sentito dei bollettini che ci informavano che molte truppe francesi stavano ora combattendo con noi, notizie che mi rallegrarono. Il pensiero che uomini francesi e tedeschi marciavano fianco a fianco mi sembrava un fatto meraviglioso. Presto non avremmo più dovuto aver freddo; la guerra sarebbe finita, e avremmo potuto raccontare le nostre avventure a casa. Questo natale non mi aveva portato alcun dono da poter stringere in mano, ma mi aveva portato così tante buone notizie sull’armonia tra I miei due paesi che mi sentii confuso. Perchè sapevo che ora ero un uomo, ma tenevo fermamente in un angolo della mia mia testa una pazza e imbarazzante idea che mi perseguitava: mi sarebbe davvero piaciuto che qualcuno mi avesse regalato un giocattolo meccanico. I miei compagni stavano ancora cantando, e lungo tutto il fronte milioni di soldati come loro dovevano cantare allo stesso modo. Non sapevo, che, proprio in quell’ora, carri armati T34 sovietici, avvantaggiandosi della tregua che il Natale si supponeva avrebbe portato, stavano distruggendo gli avamposti della sesta armata nel settore di Armotovsk. Non sapevo che I miei compagni della sesta armata, in cui uno dei miei zii prestava servizio, stavano morendo a migliaia nell’inferno di Stalingrado. Non sapevo che le città tedesche stavano subendo un orribile bombardamento da parte della RAF e della USAF. E non avrei mai osato pensare che I francesi avrebbero rifiutato un patto franco-tedesco.Era, a modo suo, il più bel natale che avessi mai visto, fatto interamente di emozioni disinteressate e privato di tutti I futili contorni. Ero solo sotto un enorme cielo stellato, e posso ricordare una lacrima scendere lungo la mia guancia gelata, una lacrima nè di dolore nè di gioia ma di un’emozione creata dall’esperienza intensa. Quando tornai all’alloggio, gli ufficiali avevano messo fine alle celebrazioni, e ordinarono di spegnare il falò. Hals aveva conservato una mezza bottiglia di schnapps per me. La scolai con pochi sorsi, per non deluderlo.
Quattro giorni passarono. Il freddo terribile continuava, abbellito da raffiche piene di neve. Uscivamo solo per I servizi obbligatori, che riducevamo al minimo, e bruciavamo tonnellate di legna. Le case erano state costruite per conservare il calore, e qualche volta eravamo anche troppo al caldo. Ci sentivamo bene, e come è solito in certe circostanze, molto presto avemmo guai. I nostri iniziarono un mattino più o meno alle tre. Una guardia rumorosamente diede un calcio alla porta della capanna, facendo entrare una corrente di aria gelida e due soldati le cui facce bluastre e dure li fecero sembrare notevolmente simili. Corsero verso la nostra stufa, e passarono alcuni minuti prima che parlassero. D’accordo con tutti gli altri, gli gridai di chiudere la porta. Di contro, ricevemmo un’imprecazione, e ci ordinarono di metterci sull’attenti. Rimanemmo a bocca aperta, in qualche modo ci spaventammo e senza reazione, il tipo che aveva gridato, scalciò la panca vicino a lui, e gridando il suo ordine una seconda volta, si lanciò sul letto improvvisato di uno dei nostri uomini, strappando violentemente il cumulo di coperte, cappotti e giacche in cui il nostro compagno si era seppellito. Nella fioca luce della stufa, riconoscemmo i gradi di un sergente.
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