Mauro Faina's blog

School Adventures

Il rinnegato III – Rematore

leave a comment »

Il remo, un mondo allucinante, fatto solo di fatica disumana, da cui pochi ritornano. Dago è incatenato al suo unico amico, senza speranza, non succede nulla nel budello della galera. I suoi muscoli tesi allo spasimo, sotto i colpi delle fruste. Sguardi assenti, in attesa della morte. Dago è a bordo di una delle 30 navi che Barbarossa ha armato per assaltare Carthagena. La navigazione scorre tranquilla, nessuno sembra poter fermare la potenza della flotta del Barbarossa. Improvvisamente, una nave rossa si staglia nitida sul grigio orizzonte. Le vele purpuree al vento, come un’apparizione sovrumana. I cavalieri di Malta. L’incubo di Solimano. L’unica diga che freni la marea ottomana, che monta contro un’Europa divisa dalle guerre intestine. I maltesi tengono in continua apprensione i turchi e a bordo della flotta del Beylerbey sale il nervosismo. I cavalieri di Malta non si avvicinano. E’ una sola nave, inviata in perlustrazione. Vogliono sapere l’obiettivo ultimo della spedizione turca. Ma di più non possono. Difficile radunare la flotta cristiana se non si conosce anticipatamente l’obiettivo dei pirati. Dago è a conoscenza della loro destinazione e, memore dei suoi trascorsi di ufficiale della flotta veneziana, lucida il metallo delle catene e invia segnali luminosi secondo il codice veneziano ai maltesi. Qualche minuto e la nave di Malta, smette di inseguire a distanza la flotta turca. Un altro giorno di navigazione e finalmente Cartagena è raggiunta. Le galere entrano nella rada, e i cannoni della fortezza iniziano a martellare la flotta. Ma sembrano insufficienti a sventare il pericolo. I cannoni dei turchi rispondono al fuoco e aprono le prime brecce sulle possenti mura di Carthagena. Lo scontro impari è improvvisamente interrotto dalle grida dei soldati turchi pronti a sbarcare. “Laggiù! Navi!Un’intera flotta! Ci bloccano l’uscita dalla baia,” “Sono navi rosse, i cavalieri di Malta!” Le galere turche virano immediatamente per rompere l’accerchiamento, colpite ripetutamente dai cannoni della fortezza e da quelli delle navi cristiane. Il tentativo è vano. Molte navi affondano sotto i colpi dei cannoni. Molte galere subiscono l’arrembaggio dei maltesi. Dopo ore disperate di lotta senza esclusione di colpi, la calma. Il mare è cosparso di relitti e cadaveri, gli incendi ancora divampano, mentre una nuova notte sta per scendere. L’ammiraglio maltese osserva. “Quante ce ne sono scappate?” “Solo la metà,”risponde un ufficiale. E una era quella del rematore che ci ha avvertiti. Abbiamo cercato di raggiungerla, ma invano. Conosciamo solo il nome di quel rematore: Dago”. La galere turche superstiti cercano di rientrare ad Algeri. Appoggiato al remo, Dago, lo schiavo, dorme. E sorride. Al Ahmed, al comando della flotta, non si capacita. Ad aspettarlo solo la forca. Ma i suoi guai cominciano a bordo, dove Yussuf, il nipote del Sultano, lo solleva dal comando per assumerlo in prima persona. Mancano poche ore di navigazione per raggiungere Algeri, ma Yussuf scorge tre navi di Malta. Vuole vendetta e pensa di riportare una facile vittoria. La flotta, malconcia, comincia l’inseguimento. Le tre navi cristiane fuggono verso la costa. I comandanti turchi consigliano di desistere. E’ in arrivo una tempesta e corrono il rischio di finire sugli scogli. Yussuf, in qualità di nipote del sultano, non ascolta e colpisce i suoi ufficiali con il frustino. Due ore dopo, le navi superstiti si trovano in balìa delle onde e del vento. Molte finiscono sugli scogli o alla deriva. Le tre navi maltesi hanno trovato riparo in una baia nascosta. Il tranello è riuscito. La minaccia turca è definitivamente debellata per il momento. Solo sette galere riescono a raggiungere Algeri Seduto sul grande sofà verde contornato da cuscini rossi, Barbarossa ascolta le giustificazioni di Yussuf. “Signore, è stata la tempesta, volevo vendicare la sconfitta di Cartagena” “I tuoi ufficiali mi dicono l’opposto, nipote del sultano.” La tempesta poteva essere evitata facilmente. La tua stupida arroganza ha distrutto quello che rimaneva della flotta. Dammi quel frustino. Mangialo! Dago, fra i superstiti, cerca di riposarsi al porto. Chissà quanto resisterà da rematore. Ha visto già tanti uomini perire in pochi giorni. La vita del rematore non è vita, è solo una crudele attesa della morte. Ma la flotta turca deve essere ricostruita. Non c’è bisogno di rematori al momento. E con altri schiavi è avviato alla pesca delle sanguisughe, un altro inferno, forse peggio di quello dei rematori. Mai nessuno è tornato. La vita è dolce per Jemal Hafad. Lui fa di tutto per godersela. Ama i pasti abbondanti, le donne grasse, vista la sua mole. Di tanto in tanto, si permette anche una buona bottiglia di vino. Quel dolce liquido che ai musulmani dovrebbe essere vietato. In gioventù ha lottato valorosamente, lasciando vari pezzi del proprio corpo sui campi di battaglia. Un avambraccio, un occhio, due dita. Ora sfrutta al meglio la riconoscenza del sultano, in questo piccolo regno che si è costruito nel deserto dove è valida solo la sua legge. A interrompere i dolci attimi di Jemal con due robuste signore, dai grandi seni e dai sederi sodi, il suo servo. “E’ arrivato un nuovo gruppo di schiavi, signore.” “Per Allah, sempre all’ora del riposo. Arrivo dannazione. Radunali”. Le due donne, scarsamente vestite, si allontanano e Jamal si riveste per andare incontro ai nuovi schiavi. “Carogne di tutte le razze,” pensa Jemal.”Chiunque giunga qui deve essere pessimo. Ci mandano solo i casi disperati o gli inutili. Già, non serve a molto fare il pescatore di sanguisughe.In ogni caso, come al solito, dovrò dare qualche esempio per addomesticare queste povere menti. “Tu, perché sei qui?” “Ho insultato il mio capo,”risponde mestamente lo schiavo in catebe vestito solo di una tunica sporca e lacera.” “Male, non succederà più. Tagliategli la lingua e mandatelo alle paludi.” “E tu, ragazzo dai capelli biondi?” “Io ero schiavo di Alì Bey, e una delle sue mogli si è incapricciata di me. Lui lo ha scoperto.” “Davvero? Che umiliazione per Alì, il luogotenente del Beylerbey!!! Ah ah ah Benvenuto alle paludi, giovanotto. Mi hai dato una buona notizia.” In disparte, Dago osserva la scena. Ricorda i consigli del buon Selim e non parla. Non un gesto, non un movimento. Jemal, uomo esperto e conoscitore di uomini, si rivolge a lui. “Ehi tu, che sembri forte e audace, che ci fai qui?”. Dago non risponde. E’ stanco, esausto. Ormai attende solo la morte. “Ehi, dico a te, devo versarti piombo fuso nelle orecchie?”. Dago persiste nel suo silenzio. “Bene, un altro che si crede furbo. Che vengano portati immediatamente allo stagno.” Gli schiavi non capiscono, in fila indiana, sotto la minaccia delle lance e delle fruste delle guardie di Jefal raggiungono una riva melmosa. Davanti a loro, una pozza d’acqua putrida. “Ecco il vostro nuovo mondo, schiavi!”, grida uno degli attendenti. “Il lavoro è semplice. Dovete attraversare questo stagno da un estremo all’altro. E’ pieno di sanguisughe. Come uscirete dall’acqua, altri schiavi staccheranno le sanguisughe dal vostro corpo e le metteranno nei vasi per mandarle ai nostri medici, che le useranno per curare i figli di Allah. Non perdete tempo, dentro la prima squadra.” Dago è fra i primi a entrare in acqua. Le sanguisughe si attaccano subito . All’uscita i tremendi animali affollano la superficie del suo corpo. Un bruciore sanguinante lo attraversa. La sera è giunta. Gli schiavi sono preda dei gemiti, gridano dal dolore, sono presi dalle convulsioni. Si scambiano dell’acquavite, per alleviare il dolore. Il biondo giovane passa la bottiglia a Dago. “Mi chiamo Donato e sono di Venezia. E tu’” “Io? Dago, avevo un altro nome, ma non lo ricordo più, l’ho scordato. Anch’io sono veneziano.” Ai due si unisce un gigante. E’ l’uomo a cui Jefal ha fatto tagliare la lingua. Dago gli porge la bottiglia. I tre schiavi sono uniti da un terribile destino di sofferenza e morte. “Siediti con noi, come ti chiami?”. Il gigante, ancora dolorante e sanguinante, scrive il suo nome sulla terra umida. Kiriatos. Ogni giorno è una replica del precedente. Corpi che si mutano in scheletri giallastri, mentre le sanguisughe riempiono i vasi. Donato, Kiriatos e Dago si sostengono a vicenda. L’amicizia dei due sembra aver risvegliato Dago che vuole tentare di fuggire dall’incubo. Jefal continua a godersela. Stasera se la spasserà con la sua Saadia bevendo vino di Rodi. Ma c’è sempre qualche cosa o qualcuno a interrompere i suoi piani. “Buona sera, Jefal!”. Un turco vestito di nero e oro entra nella sua camera da letto scortato da due soldati. “Alì Bey! Cosa mai ti porta fin quaggiù?” I due si odiano e Jefal non lo nasconde di certo con il suo sorriso beffardo.” “Sono qui a riscuotere un credito. Voglio la testa di Donato, uno schiavo al tuo servizio. Ho scoperto che la mia giovane moglie stava raccogliendo oro per farlo scappare. Non lascerò che lui viva.” “Mi dispiace, non posso permetterlo.” Uno dei due uomini che accompagnano Alì non perde tempo e minaccia con la scimitarra la gola del povero Jefal. “Cosa non vuoi permettere, guercio? Vai, Raschid. Cerca il bastardo.” Dago osserva tutta la scena. Si trovava nel retro della casa per prendere l’acquavite. Non perde un attimo e corre verso lo stagno per precedere Raschid. Il soldato al servizio di Alì illumina la superficie dello stagno e scorge Dago in acqua. “Ma voi lavorate anche di notte?” “No nobile signore. Uno dei nostri compagni è scomparso e lo stiamo cercando per dargli sepoltura.” “Cerco un giovane chiamato Donato. Un infedele veneziano.” “Donato? Le vie del tuo Allah sono strane, guerriero. Donato è proprio il compagno che stiamo cercando. Eccolo, laggiù. E’ lui.” “Mmm, è già decomposto, non è in uno stato gradevole.” “Purtroppo le sanguisughe sono sempre affamate.” “Bah, mi basterà la testa da portare ad Alì Bey.” Raschid consegna il macabro involucro ad Alì Bey, deluso per la mancata vendetta. Il nobile amico del Barbarossa riparte immediatamente. Si scoprirà poi che, durante il viaggio di ritorno, la galera è affondata misteriosamente. Donato non visto, con l’aiuto di Kiriatos, aveva sabotato la galera prima della ripartenza. Alla notizia i tre si scambiano un’occhiata d’intesa. Anche gli schiavi trionfano qualche volta. I giorni sono sempre uguali allo stagno. Dago non sente più i morsi dolorosi delle sanguisughe. E’ sempre più debole. Non ne ha per molto se non agisce al più presto. “Non voglio morire. Non ho paura della morte, ma non voglio morire. Ho ancora una vendetta da compiere.” Anche Kiriatos e Donato sono ridotti allo stremo. Ma il mattino seguente, imprevista, una buona notizia. L’ultimo becchino del campo di Jafal è morto. Non c’è nessuno a seppellire gli schiavi. Un guardiano fa un cenno verso i tre. “Ehi, voi, da oggi lavorerete al cimitero.” Il cimitero significa mai più sanguisughe. Certo, l’odore dei morti non è piacevole, ma il fato ancora una volta risparmia Dago. Il nuovo incarico dà un po’ di tregua. Il veneziano applica alla lettera gli insegnamenti di Selim. Cammina curvo e parla a voce bassa. Non fissa nessuno. Non fa mai movimenti bruschi. E’ perfetto nel non farsi notare. Uno schiavo che richiama l’attenzione è in pericolo. Lui lo sa. E’ ormai entrato anche nelle grazie di Jemal. Ogni giorno pesca qualche cosa per il padrone. E’ un capo fra gli schiavi, li comanda e cerca di mantenere l’ordine. Jefal sa che non deve fidarsi, ma sotto sotto lo apprezza e gli torna utile. Ma il mondo degli schiavi è un inferno continuo. La serenità è un fatto effimero. Anche il lavoro al cimitero, lontano dalle sanguisughe e dalle guardie è estenuante. Giorno dopo giorno, Donato non ne può più. Annusa il suo corpo e sente solo un terribile odore di morte. Le sue mani, i suoi capelli, i suoi piedi puzzano di cadavere. Non ne può più. “Dago, ascoltami, fuggiamo.” “Calmati, lo sai che al momento è impossibile. La pena per i fuggitivi è la morte.” “E vivere così a cosa serve?” Donato si allontana trascinando la vanga. “Dobbiamo sorvergliarlo, Kiriatos. Potrebbe fare una sciocchezza. Sta impazzendo. Chiederò a Jefal di farlo riposare.” Dago si reca immediatamente da Jefal, chiede di essere ricevuto e le guardie lo accompagnano al cospetto del padrone. “Riposo, chiedi riposo per il tuo amico? Ah, sei preoccupato? Un arrogante, duro, bastardo con una sola debolezza. Sei leale. Sai, certe debolezze distruggono gli uomini. Supplicami e se riesci a commuovermi…….” Dago s’inginocchia di fronte a Jemal. “Ti supplico, nobile padrone. Mi prostro davanti a te.” “Baciami i piedi, bastardo di un infedele. Mostra che non sono sole parole.” Dago non esita un istante e si china a baciare i grassi e puzzolenti piedi del turco. Ma di risposta un violento colpo al capo che sbatte a terra violentemente il veneziano. “Sei incredibile, Dago! Penso che io possa scendere a patti con te che sei meno di niente? Vattene, ma ricorda. Se uno schiavo fugge, dieci suoi compagni saranno decapitati, dieci perderanno le mani, dieci gli occhi. Ricordalo ai tuoi amici. Ora torna alle tue tombe!” Dago fa ritorno mestamente al cimitero, ma Donato è fuggito. Disperatamente si getta al suo inseguimento, teme che Tre Occhi, il cane da guardia di Jemal, possa rintracciare Donato prima di lui. Dago corre verso le paludi vicine, una specie di possibile via di fuga. Ma inutilmente. Fa solo in tempo a vedere Tre Occhi con la scimitarra lucente che taglia la testa di Donato, ormai esausto dopo la fuga. Dago impazzisce dalla rabbia e si scaglia contro il soldato turco, spezzandogli la schiena. Dago raccoglie il corpo smembrato dell’amico e torna al cimitero. Con Kiriatos sotterra Donato. Jemal accorre. “Dago, qualcuno ha ucciso il mio fedele guardiano. Ne sai qualcosa?” Dago non risponde, in un lucido delirio, continua a scavare. “Chi stai sotterrando?” Dago ancora non risponde. “Donato vero? Interessante, voglio vedere il suo corpo.” “Non ci provare, Donato resta tranquillo nella tomba. Hanno profanato la sua vita. Non profaneranno la sua morte.” “Osi sfidarmi? Sei pazzo? Scordi chi sei?” “No, non lo dimentico e perciò non permetterò a nessuno di toccarlo. Se ci provi, muori.” “Jemal sta per dare l’ordine, ma incontra quegli occhi vitrei, terribili, posseduti di Dago.” “Mmmmm, perché altre morti, altra violenza. Dopotutto non vale la pena di prendersela. Che se lo mangino i vermi.”Jemal si allontana. Kiriatos e Dago non lo guardano neppure. I loro occhi sono solo per la tomba. Sulla tavoletta Dago incide un epigrafe: qui giace Donato di Pescara, morto col corpo di uno schiavo e lo spirito di un principe. Così lo ricorderemo. Giorni sempre uguali. Nulla cambia. Il campo di Jemal è l’anticamera dell’inferno. Gli schiavi arrivano, muoiono e il cimitero s’ingrossa. Ma basta poco per cambiare l’intera situazione. No schiavo esce dallo stagno e crolla a terra, fulminato. Un guardiano lo minaccia. “Alzati, infedele!” Lo schiavo rimane immobile. Accorre un altro soldato. “Cosa succede.” “Non lo so, è morto….sembra….Allah ci protegga, la peste nera!!!” “Dobbiamo fuggire da questo inferno!” Sera. Jamal cena con l’ammiraglio Hussein, appena sollevato dall’incarico dal Barbarossa e ed esiliato presso il suo campo. Ma la cena è interrotta dal frastuono proveniente dal mare. “Ma che succede?”. Nel salone irrompe una guardia. “Signore, ci sono molte galere nella baia. E hanno i cannoni puntati su di noi!” “Ne sei sicuro? All’alba andremo a vedere che cosa succede.” Jamal qualche ora dopo, alle prime luci, percorre il pontile della piccola baia di fronte i suoi possedimenti. “Ehi,” grida dal pontile Jamal. “Cosa significano queste navi?” Da una delle galere si affaccia il comandante “Mi scuso, Hafad Bey, ma sono ordini del Beylerbey. Due uomini della tua guardia personale sono stati trovati agonizzanti sulla spiaggia di Algeri. Peste. Siete in quarantena e se qualcuno tenta la fuga, lo uccidiamo. Non possiamo rischiare l’epidemia. Improvvisamente alcuni soldati di Jamal si danno alla fuga con la prima barca a disposizione. Non fanno in tempo a metterla in acqua, che un precisa cannonata li raggiunge, uccidendoli quasi tutti. “Lo ripeto, è un ordine del Beylerbey. Nessuno potrà lasciare l’isola finchè ci sarà rischio di contagio. Chiunque morirà!” Hussein e Hafad rimangono senza parole. Dago ride. “Ehi, come ti senti ora padrone? Bello schero ti ha giocato il destino?” “Fatelo tacere”, grida Jamal. “Falla finita” gli intima Hussein. “La morte può essere solo una liberazione per questo schiavo. Abbiamo cose più importanti da fare. C’è qualcuno che sappia come comportarsi in questa circostanza?” “Kiriatos, risponde Dago, è stato in due pestilenze. Lui potrà consigliarci. Tramite me, naturalmente!” “Perché? Non sa parlare?” “Esatto, il nobile Hafad gli ha fatto tagliare la lingua. Spiritoso vero? E ciò ci renderà la vita più difficile.” “E con questo? Che aspettate ora? Cominciate a….” “Ehi ehi ehi, un momento,” sorride ironico Dago.”Mio allegro padrone. C’è una cosa che non hai ancora capito. La situazione è cambiata. Ora è un altro quello che dà gli ordini. Quindi Jemal, a te la pala e comincia a scavare. Padrone.” Hafad e Hussein mettono mano alle pale e cominciano a scavare. Sull’isola scende l’inferno. Un inferno di lamenti, di odori, di fumo. I cadaveri sono ovunque. Su ordine di Kiriatos, vengono bruciati, ma senza essere toccati. Dago trasmette tutti i consigli del gigante. Usare i ganci per non toccare i corpi, raccogliere erbe e cortecce, poi bollirle. Tutti dovranno bere quell’infuso, che potrebbe salvarli dalla peste. Anche gli abiti e gli oggetti dei morti vengono bruciati. L’acqua non deve essere bevuta se non bollita. L’isola è un unico rogo. L’aria puzza di carne bruciata e una nebbia grassa sembra avvolgere i corpi. Orrore ovunque. Uomini che crollano a terra in preda a una febbre altissima. Subito allontanati in quanto considerati appestati e prossimi alla morte. Qualcuno viene giustiziato sommariamente. Tutto è degrado, la paura trasforma l’uomo nel peggio animale esistente. Solo pochi riescono a controllare i loro nervi. Dago, l’uomo senza cuore che sa solo odiare, è fra questi. Anche il nobile ammiraglio Hussein sembra controllare resistere all’orrore che gli si para davanti. “Hussein, vedo che riesci a dominarti.” “Sono un vecchio saggio. Ho la coscienza di quello che è inevitabile. E’ tutto nelle mani di Allah e nessuno può mutarlo.” “Bah, mi annoi! Scava qualche altra tomba e vediamo se è proprio tutto nelle mani del tuo dio. Ci sono ancora tanti cadaveri per l’isola da sotterrare”. “Si, padrone.” Hussein fa un grottesco inchino e si allontana. Un servo accorre. “Nobile Hussein, vieni ti prego. Hafad si è ammalato.” “Ehi, dove vai? Gli grida Dago?, devi scavare, per il maledetto Jamal c’è tempo!” Hussein non gli presta attenzione, posa la pala. “Cura la tua anima, Dago, potrebbe marcire!”. Vado dal mio vecchio amico Hafad e non c’è nulla che puoi fare per fermarmi se non uccidermi.” Hussein trova l’amico febbricitante, disteso presso la sua casa. Non c’è molto tempo. Solo un mesto addio e un abbraccio fra amici. “Addio, vecchio mio. Presto sarò con te.” Hussein torna da Dago e trova il veneziano chino su Kiriatos, anche lui preda della morte nera. Kiriatos spira in pochi minuti. Dago ha perso un altro amico. Il suo destino è di rimanere solo. Solo l’odio lo sostiene. Hussein gli porge una pala. “Vieni, non bruceremo i nostri amici. Li seppelliremo assieme. Almeno non saranno soli.” Dopo sei mesi di inferno, dalle galere cominciano a chiedersi se ci sia qualche sopravvissuto. Ormai tutto dovrebbe essere finito. La quarantena è sufficiente. Una galera si avvicina all’isola. Due uomini sono sulla spiaggia. Viene calata una scialuppa. “Guarda, Dago, vengono a prenderci.” “Già, Hussein. Il Beylerbey sarà deluso quando saprà che sei sopravvissuto.” “Almeno tornerò alla mia condizione di padrone. Anche se mi sono abituato a riceverne. Tu invece non sentirai nessuna differenza. Non ti sei mai sentito schiavo. Sei solo una tigre in gabbia che non smette mai di essere belva.” I marinai scendono dalla scialuppa e si rivolgono con referenza a Hussein. “Signore, solo te sei sopravvissuto? E lui?” “Uno schiavo, l’unico altro superstite. Lo porterò con me e lo riscatterò.” Il marinaio porge un otre d’acqua all’ammiraglio. Ma non beve per primo. Sorride e cede il primo sorso allo schiavo. “Prendi padrone. Bevi.” E Dago beve. Nuova vita nelle sue vene. Di nuovo ha sconfitto la morte. Il suo cammino verso la vendetta continua.

Written by dago64

June 13, 2011 at 9:28 am

Posted in Il Rinnegato

Leave a Reply

Fill in your details below or click an icon to log in:

WordPress.com Logo

You are commenting using your WordPress.com account. Log Out /  Change )

Facebook photo

You are commenting using your Facebook account. Log Out /  Change )

Connecting to %s

%d bloggers like this: