Il rinnegato VII – Margherita
Missione in Francia (prima stesura)
La traversata verso le coste francesi non nascose alcun pericolo. Dago e la scorta sbarcarono vicino una spiaggia di Marsiglia durante la notte. L’appuntamento era all’alba del giorno seguente. Il rinnegato non si fidava e decise di sotterrare le ricchezze che trasportava in un luogo nascosto. Solo dopo che si fosse accertato delle intenzioni dei francesi, avrebbe pensato il da farsi. Sepolti i bauli con le monete d’oro, decise di attendere l’inviato di Francesco I. All’alba, come stabilito, un drappello di soldati francesi guidati da un nobile in armatura, si presentarono all’appuntamento. Alle loro spalle, non visti, quasi a sorprenderli, spuntò Dago con i suoi
I due gruppi si studiarono, si guardarono con circospezione. A rompere quell’assordante silenzio, il nobile francese, Conte d’Orleac.
“Tu sei l’inviato….dov’è il tesoro?”
“Io sono l’inviato” rispose Dago coperto con molta freddezza. Il mantello e la sua uniforme da giannizzero completamente nera, gli davano ancora di più un aspetto sinistro.
“L’oro è già stato sbarcato e sepolto in un posto che conosco solo io. Il tuo re lo riceverà mano a mano che gli servirà.”
“Questi non erano i patti, dovevi consegnarlo direttamente a me.”
“Non essere ingenuo,” sorrise ironicamente Dago. “Quell’oro è garanzia di troppe cose per essere affidato a un incapace che si lascia sorprendere così facilmente come è successo poco fa!”
“Come osi parlarmi così? Sono il conte di Dorleac…..” E mise mano alla spada.
Ma non riuscì nemmeno a sguainarla tanto fu veloce un pugno del rinnegato. Il conte si ritrovò in ginocchio. Dago lo guardava con disprezzo e odio
“Non permetterti più rabbia di quanta ne puoi soddisfare, mio buon conte. Ho una missione da compiere e una vita da proteggere. La mia.”
Dago aveva iniziato la sua avventura in Francia. Una nazione che vedeva nel nord italia possibilità di arricchirsi e conquistare prestigio politico. Nel 1524 erano già più di trent’anni che la Francia conduceva campagne militari soprattutto contro l’Italia. Nel 1492 l’attenzione francese era prevalentemente per il regno di Napoli, ma successivamente il ducato di Milano divenne boccone appetibile, più ricco e di più facile accesso. Il tentativo di conquista fu più volte osteggiato da varie alleanze di stati italiani. L’alleanza nel 1519 di Spagna e Austria, con Carlo V all’offensiva, acuì i problemi della Francia e di Francesco I, salito al trono cinque anni prima. La sconfitta della Bicocca del 1522 favorì l’ascesa al ducato di Milano di Francesco Sforza, alleato di Carlo V. Francesco aveva bisogno di assoldare un nuovo esercito se voleva prevalere. Il ducato di Milano era il più ambito premio in Europa. Nel conflitto fra Francesco I e Carlo V si inserì anche Enrico VIII, che abilmente non si schierava per una delle due parti. Stava alla finestra. Francesco I aveva bisogno di nuovi alleati e Solimano poteva garantirgli, tramite Barbarossa, il supporto necessario soprattutto in denaro, dato che poteva accrescere l’esercito imperiale assoldando un nutrito gruppo di mercenari, soprattutto i temibili svizzeri. Dago aveva una missione importante, molto rischiosa. Sotto la veste di inviato della delegazione turca si presentò a Francesco.
Al conte d’Orleac non restò che condurre Dago all’accampamento dell’esercito imperiale, in procinto di avviare un’ennesima campagna d’Italia. Francesco I era solo nella sua tenda quando un servo entrò e interruppe l sue meditazioni.
“Maestà, la delegazione turca è arrivata.”
“Quelli di Barbarossa? Perfetto. Falli alloggiare e poi portami qui i dignitari.”
“C’è un solo dignitario, sire. Con la sua scorta.”
Dago fu invitato ad entrare. Con lui il Conte D’Orleac.
“Mi chiamo Dago.” Entrò senza inchini né riverenze. Freddo e diretto. Non amava questi sovrani pieni di sé e pronti a tutto per soddisfare la loro fama di potere.
“Sei l’inviato di Barbarossa……hmmm….lui mi ha promesso oro per pagare i miei eserciti.”
“Certo, tanto che a lui interessa spezzare il potere di Carlo di Spagna e dei suoi alleati. C’è oro per te…e molto. Ma il Beylerbey ha posto una condizione.”
“Quale”
“Che io mi occupi di amministrarlo. A lui seccherebbe che la maggior parte dell’oro finisse nella mani dei tuoi ufficiali.”
“Questa condizione è insultante!” Esclamò il re con a fianco un indignato Orleac.
“Affari tuoi. Gli insulti sono come acqua sulla pietra. Asciugano in fretta se ottieni la vittoria. Io ho l’oro da amministrare, tu devi vincere. Accetti?”
“Accetto, quando avrò vinto questa guerra, ti farò impiccare.”
“Forse”, sorrise Dago. “ Ma prima devi vincerla, Francesco re di Francia. E con un inchino appena accennato, Dago uscì dalla tenda imperiale.
All’alba l’esercito di Francesco si mise in marcia. Un lungo drago di ferro e fuoco si muoveva. Dago, secondo gli accordi presi, consegnò la prima parte dell’oro a Francesco e si unì al suo esercito. Il rinnegato non era ben visto. Un cristiano al soldo del turco musulmano non poteva trovare credito presso la nobiltà francese. Per loro era un mercenario, nulla di più. Senza onore né lealtà. Ma Dago non si curava del loro disprezzo. Era si un rinnegato, ma prima di tutto un uomo pronto a combattere per una causa giusta. Un soldato mercenario e proprio per questo era ben visto dai mercenari svizzeri, allo stesso modo costretti a combattere, ma senza padrone, solo perché dettato dalla convenienza del momento. Dago, un uomo alla ricerca della vendetta. Alla ricerca di se stesso. Costretto ad agire, per nutrire la speranza di compiere un giorno la sua vendetta.
L’invasione dell’Italia era stata resa possibile dal rovescio subito dagli imperiali di Carlo V a Marsiglia. La spinta offensiva fu favorita dai mercenari svizzeri, su cui Francesco faceva conto per sopperire all’inferiorità della fanteria francese. Gli svizzeri erano famosi e considerati i migliori soldati d’Europa grazie alla loro ferocia, addestramento e professionalità. Dago, che non amava stare con gli alti ufficiali e i nobili, stava spesso con loro durante la marcia e le soste. Imparò ad apprezzarli e rispettarli. E conquistò la loro fiducia. Ci furono molti piccoli scontri prima che Francesco potesse raggiungere Milano, ma la sua superiorità numerica era pesante e , malgrado le pesanti perdite subite dagli archibugeri spagnoli, riuscì nell’ottobre del 1524 a entrare a Milano. Il duca Sforza fu fatto prigioniero. Il grosso dell’esercito imperiale si ritirò a Pavia. Il re francese fece riposare il suo esercito fuori Milano, a causa della peste che affliggeva la città. Nel giro di pochi giorni, Francesco era pronto a riprendere la campagna d’Italia e la caccia all’esercito di Carlo V. Convocò il consiglio di guerra a Binasco per pianificare la strategia da adottare per prendere Pavia.
Quale rappresentante del Barbarossa, Dago partecipava alle riunioni e qui conobbe il Duca D’Alençon e sua moglie, Margherita, sorella di Francesco. Una donna altera, ma di una bellezza mozzafiato. Bionda, la pelle delicata. Un corpo che chiedeva solo di essere amato. Dago non restò indifferente di fronte a quello splendore. Non era stato un matrimonio felice quello di Margherita. Era stata praticamente obbligata a sposare il duca, in quanto ricchissimo e Francesco vedeva in lui un valido supporto economico. Un matrimonio d’interesse, ecco tutto, nessun sentimento, di quelli che Margherita tanto sognava. Era stata sacrificata alla ragion di stato. A Binasco, durante un banchetto, Francesco presentò Margherita e il marito al rinnegato. Dago, nella sua splendida tenuta nera da giannizzero con quello sguardo da bel tenebroso, non passò inosservato a Margherita. I due quella sera ballarono e chiacchierarono molto. Ci fu subito intesa, il conte D’Alençon osservava, pieno di rabbia. Sapeva che Margherita non lo amava, ma faceva fatica a sopportare i suoi tradimenti. Certo, non era un tradimento quello che aveva di fronte ai suoi occhi, due persone semplicemente chiacchieravano. A irritarlo l’espressione soddisfatta e compiaciuta di Margherita. Mai l’aveva vista sorridere così. Quella sera nacque un legame magico fra Margherita e il rinnegato. Si intrattennero fino a tarda sera. Al momento di andarsene, Dago sfiorò le labbra della donna che si trattenne a stento dal baciarlo. I due si fissarono intensamente. Poi Dago si voltò e si allontanò senza dire nulla.
Francesco I e la sua corte ripartirono alla volta di Pavia, mentre Dago, accordato altro oro si trattenne a Binasco. Nel palazzo che Francesco usava come reggia temporanea, Margherita D’Angouleme si era trattenuta a riposarsi dal lungo viaggio che l’aveva portata da Parigi in Italia. Nella sua vasca piena di acqua profumata chiudeva gli occhi e sognava, la bella principessa. Ancora con la mente all’incontro avuto con Dago. Non capiva. Mai si era sentita così. Non era certo il primo uomo che le piaceva, ma in questo caso era diverso. Improvvisamente, a distogliere i suoi pensieri, la nutrice.
“Bambina mia, lui è tornato.”
“Lui? A chi ti riferisci?”
“A chi potrei riferirmi? E da giorni che ti vedo con lo sguardo sognante e perso. Mi hai parlato di questo splendido vagabondo. Una vergogna e la mia disperazione. Attenta, un uomo così potrebbe essere la tua rovina.”
“Vai e portamelo qui.”
“No, non lo farò. Sei sposata. Tutte le malelingue e tutti gli occhi curiosi aspettano. Non parteciperò a questo scandalo. Ti ho dedicato la mia vita…”
“Per favore, portalo qui.”
Le resistenze della nutrice furono inutili. Dago entrò all’improvviso nella stanza. Era tornato per rivederla e non voleva perdere tempo.
“Non occorre. Sono già qui.”
“Fuori, come osi, non hai vergogna? Non hai rispetto?”
“Vai pure, nutrice,” le disse Margherita ancora nella vasca. “Non ho più bisogno di te.”
Margherita squadrò il rinnegato.
“Sei tornato, a quanto vedo. Per qualche missione di mio fratello?”
“Sono tornato, non basta?” Dago era sempre di poche parole, ma per lui parlavano gli occhi. Uno sguardo intenso, penetrante, che l’aveva rapita fin dal primo momento.
“Oggi mi basta, perché sono come una mendicante. Ma verrà il giorno in cui non sarà più così. Il giorno in cui non potrai farti scudo dei tuoi silenzi e della tua ironia tagliente.”
Margherita, nuda con quel corpo da favola, si alzò e uscì dalla vasca.
“Mi hanno raccontato cose terribili sul tuo conto e ho paura quando conoscerò quello che sei in realtà. So che mi darai un grande dolore. Quel giorno mi spezzerai il cuore. Ma ora non mi interessa. Voglio te, soltanto te.
Dago l’abbracciò e il suo mantello le fece da coperta.
Le due avanguardie e la colonna principale guidata da Francesco I in persona, strinsero ben presto la città di Pavia sotto assedio. Ma quella che doveva rivelarsi una conquista facile, si rivelò ben presto un’ impresa difficile. La cattive condizioni metereologiche e la mancanza di polvere da sparo preclusero assalti più decisi e i francesi decisero di costringere gli assediati a esaurire le loro risorse. Ma una nuova minaccia si profilava all’orizzonte. A Lodi, l’esercito imperiale si stava riorganizzando. Venne il Natale del 1524. L’esercito francese aveva perso di efficacia, logorato da due mesi di assedio e dai continui scontri per difendere il ducato di Milano.
Dago e Margherita erano ormai amanti. Tutti sapevano. La principessa era tornata a Parigi e il giannizzero nero andava spesso a trovarla. Francesco I tollerava, non poteva inimicarsi l’inviato del Barbarossa, suo tesoriere di guerra. Il Duca d’Alençon chiedeva l’intervento del re che ovviamente non poteva concedergli. Aveva la guerra contro Carlo V che gli procurava un gran mal di testa. Fra l’altro, sapeva del carattere della sorella. Non l’aveva mai ascoltato, tranne che per quel matrimonio d’interesse. Margherita non si piegava di fronte a nulla. Il suo amore per Dago cresceva di giorno in giorno. Tutti disprezzavano e non capivano. Come poteva una principessa di Francia legarsi a un tale demonio? Ma la passione resisteva. Forse Dago aveva bisogno di ciò. Un sentimento forte che bilanciava quella rabbia mai sopita che lo accompagnava costantemente. Margherita riusciva a lenire il dolore che lo attanagliava. Ma dentro di lui sapeva che quella storia non poteva continuare a lungo. Una fredda mattina di febbraio Dago salutò Margherita. Doveva tornare in Italia. A Pavia Francesco si trovava in grosse difficoltà.
Lannoy a capo l’esercito imperiale avanzava da Lodi verso Pavia. Il suo obiettivo era di rompere l’accerchiamento e rifornire gli assediati per poi attaccare e distruggere definitivamente l’esercito francese.
Ad accogliere Dago a Pavia l’odore acre della polvere. Sporcizia e carne morta. L’assedio non era mai un fatto glorioso. I soldati francesi erano stanchi. Sapevano dell’imminente pericolo del nuovo esercito imperiale. Presi fra due fuochi, non avevano molto speranze. Avrebbero dovuto combattere in campo aperto contro un nemico più fresco in soprannumero. Francesco era ancora fiducioso. Aveva la migliore cavalleria d’Europa e i nobili più valorosi. Non temeva la fanteria spegnola e tedesca. Era molto sicuro di sé. Immaginava che una gloriosa carica di cavalleria guidata da lui stesso avrebbe avuto la meglio.
All’alba del 24 febbraio iniziò l’attacco degli imperiali. Francesco fu svegliato dal rumore dei cannoni e radunò immediatamente i suoi cavalieri. La battaglia per Pavia era iniziata. Dago dormiva non lontano con un gruppo di mercenari svizzeri. I cannoni francesi vomitavano fuoco contro le colonne degli imperiali. Ma non era abbastanza. Il grosso dei mercenari svizzeri era stato messo in fuga. La loro scarsa volontà di combattere per la mancanza di salario e il morale basso avevano grandemente contribuito alla loro disfatta. Le loro temibili picche niente potevano contro le migliaia di archibugi che seminavano morte fra le loro fila. I lanzichenecchi imperiali avanzavano inesorabilmente. Con l’intero schieramento in difficoltà, Francesco ordinò alla cavalleria di prepararsi. Era il momento della gloria. Dago attendeva invano i mercenari svizzeri e osservava la scena. Nella piana Francesco I dispose la sua cavalleria per lanciare la carica e fermare i lanzichenecchi tedeschi. Gli archibugieri dell’esercito imperiale a migliaia erano disposti su un crinale dietro di loro. Gli imperiali non resistettero alla veemente carica dei francesi. Francesco si sentiva già padrone del campo, ma improvviamente una pioggia di piombò investì i suoi cavalieri. Fu una carneficina Molti cavalieri furono disarcionati e gli archibugieri provvedevano a finirli. Attorno al re, la nobiltà francese venne a poco a poco mutilata, ferita o colpita a morte. L’artiglieria non poteva difenderli, in quanto avrebbe potuto colpire i suoi nobili. Dago cavalcò verso Francesco, disarcionato e rimasto con pochi fedeli a combattere. La battaglia era persa, ma poteva ancora salvare il re francese dalla cattura.
“Francesco,” Gridò dago, “non ti rimangono uomini. Ritiramoci.”
“No, mai. Alençon. Abbiamo bisogno delle sue truppe. Chiamalo. Chiamalo!”
Dago risalì a cavallo e al galoppo si allontanò. Francesco era ormai circondato, tutti i suoi generali morti. Le picche si stringevano intorno a lui. Ormai senza speranze, si preparava a soccombere, ma un cavaliere mise fra lui e i soldati imperiali.
“Fermi tutti, quello è il re!” Lo stesso Lannoy, generale dell’esercito di Carlo V si era lanciato a difendere Francesco.
“Sire, siete prigioniero dell’imperatore.”.
Francesco non lo udì neppure mentre veniva condotto nelle retrovie degli imperiali. Pensava ai suoi magnifici nobili, tutti periti nell’assalto. Confuso, esausto. Il suo sogno di dominare Milano era svanito. L’ultima speranza era costituita dalle truppe di Alençon che, stranamente, non erano intervenute in suo aiuto. Dago, raggiunse in un’ora il campo di Alençon. Il duca aveva appena ordinato la ritirata. Dago entrò come una furia nella tenda del nobile.
“Ah, il rinnegato è qui!”
“Che significa questo? Il re attendeva il tuo aiuto e tu ti stai ritirando. Attacca subito!”
“No, la battaglia è perduta. Non serve a nulla rischiare il mio esercito. I miei esploratori mi hanno già riferito”
“Signore, questa è codardia!”
“Sono stato accusato di tutto, rinnegato. Ma non di essere un vigliacco. Ritirerò il mio esercito subito, chiaro?”
“Alençon, ho un terribile sospetto. Non starai pagando per caso un vecchio debito di rancore al tue re?”
“Debito?…..Torna da mia moglie Margherita. La sorella del re. Tu mi hai reso ridicolo davanti a tutta la Francia e anche il re ha trovato la cosa divertente. L’ho sentito ridere. Mi domando se ora stia ridendo o se mia moglie riderà. Per ora so che tu non riderai. Ti farò impiccare”
Appena Dago sentì la presa di un soldato alle sue spalle, reagì e cercò di scappare. Lo colpì violentemente e corse verso il primo cavallo. I soldati non si erano ancora ripresi dalla sorpresa, che Dago era già lontano. Era tutto perduto. Anche gli ultimi assalti dei mercenari svizzeri erano stati vani. L’esercito francese era in rotta. Gli archibugieri avevano vinto. Non c’era più nulla da fare.
Francesco fu rinchiuso in una grande tenda del campo imperiale. Infreddolito, ferito soprattutto nel suo orgoglio, non riusciva a scuotersi. Una visita inaspettata lo scosse. Dago entrò nella tenda. Aveva chiesto, in qualità di consigliere di re Francesco, di poter vedere il sovrano.
“Dago…tu?”
“Mi hanno permesso di vederti perché vogliono che io porti un tuo messaggio alla corte. Ecco, ho qui l’elenco dei caduti”
“Leggilo, per favore.”
Francesco ascoltò a uno a uno i nomi dei suoi cavalieri. Tuttà la nobiltà francese, il fiore e la gloria di Francia . Tutti erano morti davanti Pavia.
Il rinnegato, dopo aver ricevuto il messaggio da riportare a Parigi, si allontanò a cavallo dal campo imperiale.
Durante il suo ritorno, Dago incontrò molti mercenari che si erano dati al saccheggio. Come al solito, era la povera gente che pagava il prezzo maggiore. Lui stesso si trovò in pericolo, ma era determinato a portare il messaggio del re a corte.
Ad attenderlo, Margherita, che non aveva smesso un attimo di pensare a lui.
La sua entrata a palazzo non fu salutata da sguardi soddisfatti. Tutti lo guardarono con sospetto e con il solito disprezzo. Margherita lo attendeva nel suo studio.
“Ti aspettavo, Dago.” Il suo volto appena truccato si illuminò.
“Ho un messaggio per tua madre, la regina reggente.”
“Reggente? Perché usi questo titolo….ma allora Francesco….”
“No, non è morto, ma è prigioniero. L’esercito francese è stato distrutto. Un disastro.”
Margherità si adombrò e guardò dalla finestra. La felicità per il ritorno di Dago era sparita.
“Ho sentito delle voci. Ma non ho vi dato retta. Non ho voluto credere…”
“Voci su tuo marito? Sono vere. Alençon ha lasciato Pavia. Non ha voluto aiutare il re.”
“Per questo si è persa la battaglia?”
“Chissà…una battaglia è un insieme di circostanze. Ciò che conta qui è il tradimento.”
“Non ci sono prove…….”
“Dolce Margherita, dai la tua generosità perfino al tuo detestato marito. Ma stavolta non è giustificata. C’è un testimone. Sono Io.”
Margherita guardò intensamente Dago. Non sapeva se avere paura o provare ammirazione.
“Nessuno ti crederà!”
“lo so. Io, il tuo amante che accuso tua marito. Parlerebbero di gelosia, lussuria, odio…di tutte quelle cose lì.” Uno schiaffo raggiunge Dago in pieno volto.
“Come puoi parlare così? A tanto arriva il tuo cinismo? Non provi nulla?”
“Il mio cinismo? Vedo che non hai ancora capito……Ciò che ho detto è la pura verità, cara Margherita.”
La donna sapeva che Dago non mentiva. Si fidava e aveva capito che, nonostante tutto, il rinnegato era uomo onesto e leale. Si abbracciarono, ma non era un abbraccio d’amore quello. Una donna disperata si aggrappava al solo uomo di cui poteva fidarsi. Il destino di Francia era incerto. Altrettanto la sua storia d’amore con Dago. Quella sera stessa fecero l’amore con un’intensità mai provata prima.
La Francia si trovava in una situazione disperata. Il re di Francia era prigioniero dell’imperatore spagnolo. L’unico potere era rappresentato dalla madre del re, la reggente. Ma questo non sarebbe bastato a fronteggiare tutti i nemici. Spagnoli, tedeschi, inglesi e le città italiane potevano approfittarne. C’era anche il conestabile di Borbone a fare pressioni. Il traditore di Francia avrebbe potuto attaccare Parigi e prendere il trono. Bisognava liberare Francesco. Non si sapeva nemmeno dove fosse tenuto prigioniero. Sembrava una missione impossibile. Non c’erano nemmeno nobili d’arme, dato che erano tutti morti a Pavia, che potevano essere inviati in soccorso del re. Questa situazione descrissero i consiglieri convocati dalla regina madre quella mattina di primavera del 1525. Alla riunione era presente anche Margherita.
“Non so chi posso inviare per scoprire dove è tenuto prigioniero Francesco.”
“Si, madre, lo sai benissimo. Ma il tuo odio per lui non te lo fa accettare. Dago è l’unico che può trovare mio fratello e forse perfino liberarlo.”
“E’ un rinnegato, un bandito, un assassino forse….”
“Esatto, ma sono proprio le virtù che occorrono per questa missione.”
“E va bene, dov’è quel sinistro individuo, nel tuo letto a riposare?”
“No, Signora,” rispose un consigliere.” Forse non lo rammentate, ma l’abbiamo inviato a procurarci mercenari nei cantoni svizzeri. E al momento non sappiamo dove sia.”
“Manda messaggeri in tutte le città. Che lo cerchino. Priorità assoluta”
I consiglieri uscirono dalla sala del trono. Rimasero Margherita e la madre.
“E tu smettila di sorridere come una gatta. Dovresti vergognarti. Margherita d’Angouleme. La sorella del re amante di un rinnegato. E’ una storia sordida che spero presto finisca.”
“Sordida? Forse si. Una deliziosa sordida storia.”
“Sei diventata anche una svergognata. Non ti riconosco.”
“Neanch’io mi riconosco più. Forse perché sono felice. E’ la prima volta che mi succede in vita mia.”
Dago fu rintracciato. Non aveva più nessun obbligo nei confronti della corona francese, ma a Parigi c’era sempre Margherita. Non era un uomo che amava rimanere per tanto tempo nello stesso posto. La sua sete di vendetta non era ancora placata. Ma l’amore di Margherita lo faceva sta meglio. Decide di rispondere alla chiamata e interrompere la sua missione nei cantoni svizzeri. Entrò nella stanza del trono come suo solito. Un semplice cenno di saluto alla regina reggente, il solito sguardo tagliente e ironico. Margherita era presente, ma Dago non la degnò neppure di uno sguardo. La regina era infastidita dalla sua presenza, ma non poteva fare diversamente. Aveva bisogno di lui.
“Dago, voglio che tu trovi mio figlio e lo aiuti a scappare.”
“Signore, tuo figlio è Francesco, re di Francia. Puoi chiedere l’aiuto del papa, di altri sovrani. Perché un rinnegato come me?
“Papa e sovrani hanno il loro interessi. Un rinnegato ha un prezzo. E’ più facile da pagare.”
“Ci sono tanti eroici cavalieri di Francia disposti a morire per la gloria della Francia. Perché io?.”
“Ti stai burlando di me? Lo farai?”
“Lo farò”.
“E cosa vuoi in cambio?”
Ah,” disse sorridendo, “ non ti crucciare a determinare la cifra del mio compenso. Basta che avrai cura del mio cane!” * vedere se è possibile inserire Morte.
Dago si allontanò sotto gli occhi sprezzanti dei presenti. Margherita lo seguì con lo sguardo, ma lui non si voltò a salutarla. Dov’era quell’uomo passionale che aveva conosciuto? Possibile che il loro amore era già svanito. Possibile che fosse tanto duro?
Secondo quanto si sapeva a corte, re Francesco era stato prima portato a Napoli. Da lì era salpato per la Spagna. Arrivato a Barcellona, era stato condotto in un località segreta fino a quando avrebbe potuto incontrare Carlo. Per il suo riscatto la Spagna aveva chiesto il delfinato, la linguadoca e la Bretagna e altri territori. Un immenso indennizzo d’oro completava la richiesta. Era una richiesta impossibile da mantenere. Oro, lettere di credito e un elenco di persone da contattare in Spagna vennero consegnati a Dago. Era tutto pronto per la partenza. Il rinnegato doveva cercare un re senza regno e doveva sottrarlo alle grinfie di un imperatore fanatico che accendeva dappertutto roghi di religione.
La notte prima della partenza, Dago pensava al suo futuro. Di nuovo le strade. Questa volta con una missione precisa e pericolosa. I suoi pensieri furono distolti da qualcuno che bussò alla sua porta. Andò ad aprire e inginocchiata di fronte a lui, Margherita, nuda e piangente.
“Non ho più la forza di lottare contro di te. Non ne posso più. Il tuo pensiero mi accompagna sempre. Lasciami essere la tua schiava. Forse così riuscirai ad amarmi. Ti prego.”
Dago la prese in braccio e con dolcezza appoggiò quel corpo stupendo sul suo letto. Si malediva per aver causato dolore a quella donna tanto generosa. Ma era più forte di lui. Il suo cuore era di pietra, lo sapeva. Qualche volta combatteva per svegliarlo, ma era sempre sopraffatto. E faceva delle vittime. Margherita era fra queste. Non lo meritava.
Non era nemmeno l’alba quando Dago sellò il cavallo per la partenza. A salutarlo Margherita.
“Cerca di tornare”, fu l’unica frase che disse.
Dago salì a cavallo, senza nemmeno sfiorarla. Nessuna parola di conforto o di commiato. Il solito sguardo glaciale e indifferente. Il rinnegato lanciò il cavallo al galoppo e si perse nella nebbia mattutina. Margherita rimase a osservare quella sagoma nera che si allontanava. L’avrebbe mai rivisto?
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