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Il soldato dimenticato XXVII
Voi bastardi state per andare su all’inferno? Gridò strattonando chiunque potesse raggiungere. Chi è a capo di questo gruppo? E’ una disgrazia! Pensate che sia questo il modo in cui fermeremo l’offensiva russa? Se non siete pronti in dieci minuti, vi getterò fuori di qui così come siete. Ancora morti di sonno e storditi dal nostro brusco risveglio, ci affrettammo a raccogliere le nostre cose. Lasciando la porta spalancata, il sergente uscì dalla nostra isba ma come un pazzo, per scatenare panico in un’altra isba dall’altra parte della strada. Non avevamo un’idea chiara di quello che stava accadendo. La nostra sentinella, che sembrava molto scossa, ci disse che gli intrusi erano arrivati da Minsk a bordo di un sidecar. Ci dovevano aver messo molto tempo per percorrere quelle quindici miglia e passa , il che spiegherebbe la loro furibonda condizione. Ma, malgrado tutti I demoniaci urli che il sergente potesse fare, ci vollero buoni venti minuti prima che noi fossimo sull’attenti nella neve. Laus, che era stato addormentato tanto profondamente come nessun altro, cercò di scuoterci per riportarci all’erta con una dose di rabbia tanto intensa come quella dei suoi colleghi
Il soldato dimenticato XXVI – Dicembre 1942
Si, tenente. Bene, allora buon natale! Che cosa? E’ natale? Si. Guarda laggiù, Indicò la casa dei Khorsky. Il tetto, pieno di neve, arrivava fino al livello del terreno; le strette finestre brillavano più intensamente di quello che le regolamentazioni del blackout generalmente permettevano, e in quella luce potei vedere le forme in movimento veloci dei miei compagni. Pochi momenti dopo una fiamma altissima si alzò da un enorme cumulo di legna che doveva essere stata inzuppata di gasolio. Una canzone accompagnata da trecento voci salì lentamente nell’immobilità della notte gelata. O Weihnacht! O stille Nacht! Era possibile? In quel momento, ogni cosa oltre il perimetro del campo era senza significato per me. Non potevo distogliere I miei occhi dalla luce del falò. Le facce più vicine alle fiamme erano illuminate; il resto si perdeva nell’oscurità, mentre il forte suono della canzone continuava, diviso ora in diverse parti. Forse le circostanze di questo particolare natale facevano una differenza sostanziale, ma era parecchio tempo dall’ultima volta che avevo sentito qualche cosa che non mi commuovevo così tanto.
Le memorie della mia prima giovinezza, ancora così vicina, mi ritornarono in mente per la prima volta da quando ero diventato un soldato. Che cosa stava accadendo a casa quella sera? Che cosa stava accadendo in Francia? Avevamo sentito dei bollettini che ci informavano che molte truppe francesi stavano ora combattendo con noi, notizie che mi rallegrarono. Il pensiero che uomini francesi e tedeschi marciavano fianco a fianco mi sembrava un fatto meraviglioso. Presto non avremmo più dovuto aver freddo; la guerra sarebbe finita, e avremmo potuto raccontare le nostre avventure a casa. Questo natale non mi aveva portato alcun dono da poter stringere in mano, ma mi aveva portato così tante buone notizie sull’armonia tra I miei due paesi che mi sentii confuso. Perchè sapevo che ora ero un uomo, ma tenevo fermamente in un angolo della mia mia testa una pazza e imbarazzante idea che mi perseguitava: mi sarebbe davvero piaciuto che qualcuno mi avesse regalato un giocattolo meccanico. I miei compagni stavano ancora cantando, e lungo tutto il fronte milioni di soldati come loro dovevano cantare allo stesso modo. Non sapevo, che, proprio in quell’ora, carri armati T34 sovietici, avvantaggiandosi della tregua che il Natale si supponeva avrebbe portato, stavano distruggendo gli avamposti della sesta armata nel settore di Armotovsk. Non sapevo che I miei compagni della sesta armata, in cui uno dei miei zii prestava servizio, stavano morendo a migliaia nell’inferno di Stalingrado. Non sapevo che le città tedesche stavano subendo un orribile bombardamento da parte della RAF e della USAF. E non avrei mai osato pensare che I francesi avrebbero rifiutato un patto franco-tedesco.Era, a modo suo, il più bel natale che avessi mai visto, fatto interamente di emozioni disinteressate e privato di tutti I futili contorni. Ero solo sotto un enorme cielo stellato, e posso ricordare una lacrima scendere lungo la mia guancia gelata, una lacrima nè di dolore nè di gioia ma di un’emozione creata dall’esperienza intensa. Quando tornai all’alloggio, gli ufficiali avevano messo fine alle celebrazioni, e ordinarono di spegnare il falò. Hals aveva conservato una mezza bottiglia di schnapps per me. La scolai con pochi sorsi, per non deluderlo.
Quattro giorni passarono. Il freddo terribile continuava, abbellito da raffiche piene di neve. Uscivamo solo per I servizi obbligatori, che riducevamo al minimo, e bruciavamo tonnellate di legna. Le case erano state costruite per conservare il calore, e qualche volta eravamo anche troppo al caldo. Ci sentivamo bene, e come è solito in certe circostanze, molto presto avemmo guai. I nostri iniziarono un mattino più o meno alle tre. Una guardia rumorosamente diede un calcio alla porta della capanna, facendo entrare una corrente di aria gelida e due soldati le cui facce bluastre e dure li fecero sembrare notevolmente simili. Corsero verso la nostra stufa, e passarono alcuni minuti prima che parlassero. D’accordo con tutti gli altri, gli gridai di chiudere la porta. Di contro, ricevemmo un’imprecazione, e ci ordinarono di metterci sull’attenti. Rimanemmo a bocca aperta, in qualche modo ci spaventammo e senza reazione, il tipo che aveva gridato, scalciò la panca vicino a lui, e gridando il suo ordine una seconda volta, si lanciò sul letto improvvisato di uno dei nostri uomini, strappando violentemente il cumulo di coperte, cappotti e giacche in cui il nostro compagno si era seppellito. Nella fioca luce della stufa, riconoscemmo i gradi di un sergente.
Il soldato dimenticato – XXV – Al posto di guardia nord di Minsk
Stavo iniziando ad averne abbastanza della Santa Russia e di guidare camion. Come tutti avevo anch’io paura dell’idea di trovarmi sotto il fuoco nemico, ma stavo anche cominciando a desiderare di usare il Mauser che mi stavo portando dietro da quasi un’eternità, senza mai poterlo utilizzare. Sentivo che in qualche modo sparare a qualche cosa mi avrebbe vendicato delle mie sofferenze patite per il freddo, e dalle mie vesciche. Le mie mani erano pesantamente rovinate grazie al continuo spalare, e i miei guanti di lana erano già pieni di buchi, mostrando la punta delle mie dita congelate. Le mie mani e i miei piedi erano talmente freddi che qualche volta il dolore sembrava mi pugnalasse al cuore. Il termometro rimaneva a circa 5 gradi sotto lo zero. Ora eravamo acquartierati a circa 15 miglia a nord di Minsk, a guardia di un vasto deposito di parcheggio per i veicoli militari. Occupavamo sette o otto case nel villaggio, e ne lasciammo solo una, la più grande, per una famiglia russa. Il loro nome era Khorsky; avevano due figlie e asserivano di essere venuti dalla Crimea, di cui parlavano con nostalgia. Gestivano una specie di spaccio dove potemmo comprare cibo e bevande con i nostri stessi soldi e trovammo alcuni compagni con cui ammazzare il tempo.
La neve aveva smesso di cadere, ma il freddo stava crescendo sempre più intenso. Una sera, dopo che la nostra compagnia era stata nel villaggio per una settimana, fui messo in lista per un serivizio di guardia da due ore. Attraversai il vasto spiazzo del parcheggio, dove cinquecento o più veicoli di ogni descrizione erano mezzi seppelliti nella neve. Mi sentivo in apprensione tutto il giorno all’idea di camminare per quell’area di notte. Sarebbe stato così facile per i partigiani nascondersi in mezzo agli automezzi e spararci appena passavamo. Ma mi ero gradualmente convinto che la guerra, se esisteva dopotutto, si stava svolgendo da qualche altra parte. I soli Russi che avevo visto erano o mercanti o prigionieri, e sembrava altamente probabile che non ne avrei mai visti altri.
Con questa idea in testa, camminai verso la mia postazione, a circa 15 yarde dal primo veicolo, attraverso una trincea profonda una yarda. Che ci permetteva di arrivare fino agli automezzi, o ritirarci, senza trovarci esposti al fuoco nemico. I bordi della trincea erano già stati rialzati di quasi tre piedi dalla neve fresca, e ad ogni nuova nevicata eravamo obbligati a scavare. Mi misi nel posto di guardia che mi permetteva di vedere un po’ più lontano. Avevo avvolto una coperta sul mio cappotto, che mi permetteva a malapena di muovere le mie braccia.
Avevo rifiutato la mia razione di alcool, il cui sapore mi disgustava, ed mi stavo mentalmente preparando ad un altro assedio di incontrollabile tremore dal freddo. La notte era limpida, avrei potuto vedere un corvo a cento yarde. A distanza l’orizzonte era tagliato da una massa di cespugli striminziti. Tre delle quattro linee telefoniche che attraversavano il nostro campo erano visibili, e si allungavano via verso direzioni differenti. I loro paletti, piantati in maniera diversa nel terreno, era supporti scadenti per il filo spinato, che qualche volta cadeva giusto sulla neve. Il mio naso, la sola parte di me direttamente esposta al freddo, iniziò a bruciare. Avevo tirato il mio berrretto quanto il più possibile giu, in maniera tale che la mia fronte e parte delle mie guance fossero coperte. Oltre a questo indossavo l’elmetto richiesto per il servizio di guardia. Il maglione a collo alto che i miei genitori mi avevano inviato , si sovrapponeva all’estremità del mio berretto sulla mia nuca. Di tanto in tanto guardavo al grande mucchio di veicoli a cui stavo facendo la guardia e mi chiedevo che cosa avremmo dovuto fare se dovevamo muoverli in fretta. I motori dovevano aver raggiunto uno stato di magnifica solidità!
Mi trovavo alla mia postazione da un’ora buona quando, improvvisamente, una figura apparve ai limiti del parcheggio. Mi lanciai giu nel fondo della mia buca. Prima di estrarre le mie mani dalle profondità delle mie tasche, arrischiai un’altra occhiata oltre il parapetto. La figura stava avanzando verso di me. Doveva essere uno dei nostri uomini che faceva le ronde, ma poteva anche essere un bolscevico. Brontolando per lo sforzo, tirai fuori le mie mani dal riparo e presi il mio fucile. La culatta, appiccicosa per il gelo, mordeva le mie dita, quando manovrai la mia arma in posizione di fuoco e gridai: Chi è là? Ottenni una ragionevole replica, e il mio proiettile rimase in canna. Tutto sommato, ero stato prudente a prendere queste elementari precauzioni: era un ufficiale che stava facendo la ronda. Salutai. Tutto a posto?
Il soldato dimenticato XXIV – Lo sforzo del Reich – Dicembre 1942
Al momento, il Reich stava facendo un immenso sforzo per proteggere i suoi soldati dall’ostilità implacabile dell’inverno russo. A Minsk, Kovno, e Kiev, c’erano enormi magazzini di coperte, abiti invernali speciali fatti di pelle di pecora, scarponi con spesse suole isolanti e rivestiti di pelo intrecciato, guanti, cappucci di pelle di gatto doppia, e scaldini portatili che operavano bene sia con il gasolio, con l’olio, o con alcol solidificato, e montagne di razioni in speciali scatole protettive, e migliaia di altre necessità. Era nostro dovere, come truppe da convoglio della ferrovia, consegnare tutto questo alle linee del fronte, dove le truppe combattenti ci stavamo disperatamente aspettando.
Facemmo sforzi sovrumani e tuttavia, non erano mai abbastanza. La punizione che soffrivamo, non per mano dell’esercito russo, che fino a quel momento non aveva fatto quasi nulla eccetto che ritirarsi, ma dal freddo, che è quasi oltre ogni possibilità di descrizione. Fuori le grandi città non c’era stato il tempo di riparare le strade danneggiate-poche e lontane per iniziarne o per aprirne altre. Mentre la nostra unità stava facendo la sua ginnastica autunnale, la Wermacht, dopo una straordinaria avanzata, si era ritrovata in un incredibile pantano. Poi il primo gelo aveva solidificato le mostruose carreggiate che conducevano a Est. I nostri mezzi avevano faticato enormemente su queste strade, che infatti erano percorribili solo dai carri, ma la durezza del suolo aveva temporaneamente permesso l’approvvigionamento delle truppe. Poi l’inverno rovesciò giu tonnellate di neve attraverso l’immensità della Russia, e nuovamente paralizzò il traffico.
Questo è il punto che avevamo raggiunto nel Dicembre 1942. Spalavamo via la neve cosicchè I nostri camion potevano avanzare quindici o venti miglia al mattino, solo per scoprire che I nostri sforzi dovevano essere raddoppiati nello stesso giorno. La terra sotto la neve era un sinistro rilievo di avvallamenti e buche, che noi pigiavamo o coprivamo. Alla sera ci sparpagliavamo per trovare riparo per la notte
Qualche volta potevamo disporre di un riparo allestito dai genieri, qualche volta potevamo trovare un’isba, una grande capanna russa o una qualsiasi casa. Spesso ci affollavamo in più di cinquanta uomini in una costruzione pensata per una coppia e due bambini. Gli alloggi più desiderati erano le grandi tende progettate apposta per la Russia. Erano alte e appuntite, come teepees, impermeabili, e progettate per nove uomini. Noi eravamo raramente più di venti, e in ogni caso non c’erano abbastanza tende. Fortunatamente, avevamo razziato i nostri magazzini di cibo a causa del freddo, e con abbastanza di cui nutrirci, eravamo in grado di mantenerci ragionevolmente bene. Alcuni di noi iniziarono a brulicare di vermi, dato che avevamo raramente la possibilità di lavarci, e quando ritornavamo a Minsk, il nostro primo dovere era di passare attraverso la disinfestazione
Il soldato dimenticato XXIII – Ourlka!-
Specie di vie di transito erano state costruite con assi e altri oggetti solidi buttati in mezzo a tutto questo caos. Di quando in quando cedemmo il passo a una donna russa carica di provviste, e sempre seguita da quattro o cinque bambini che ci fissavano con occhi rotondi attoniti. C’erano anche molti negozi curiosi le cui finestre rotte erano state rimpiazzate da tavole o sacchi ripieni di paglia. Hals, Lensen, Morvan e io entrammo in diversi di questi per curiosità. C’era sempre un mucchio di grandi vasi di terracotta dipinti di vari colori, che contenevano o piante immerse in un liquido, verdure essiccate, o un curioso sciroppo denso che era la via di mezzo fra marmelllata e il burro.
Dal momento che non sapevamo tanto bene dire hello in Russo, entravamo sempre in questi posti parlando fra noi. I pochi russi che erano all’interno immancabilmente assumevano un atteggiamento fra l’ansioso e il sorridente, mentre il proprietario o il conduttore del negozio si avvicinava con un sorriso accattivante e ci offriva grandi assaggi di questi prodotti, in un tentativo ovvio di placare i fieri guerrieri che loro immaginavano noi fossimo. Ci davano spesso una fine farina giallognola da mischiare in questo sciroppo il cui sapore era lontano dall’essere sgradevole, in qualche modo ricordava il miele. Il solo aspetto scoraggiante era una sovrabbondanza di grasso. Posso ancora vedere le facce di quei Russi, che ridevano quando mandavamo giu questo prodotto e pronunciavano una parola che sembrava piuttosto un “ourlka”. Non fui mai sicuro se questo significasse mangiare o fosse semplicemente il nome del preparato. Ci furono giorni quando noi realmente ci rimpinzavamo di ourlka, e in ogni caso non ci impediva dall’apparire puntuali alle undici del mattino al pranzo ufficiale.
Hals accettava qualsiasi cosa i russi gli offrissero con così tanta gentilezza. Qualche volta lo trovai molto rivoltante, allungando la sua gavetta alla generosità di questi mercanti sovietici quando versavano nella gavetta delle misture che si assomigliavano l’un l’altra nella loro consistenza approssimativa e acquosa. Qualche volta la sua gavetta aveva una combinazione della famosa ourlka, grano arrostito, aringa salata tagliata a pezzi, e altri diversi ingredienti. Qualunque cosa fosse il preparato, Hals lo divorava con chiaro gusto, come un grande porco. Se si eccettua questi momenti di distrazione intervallati ai nostri molti lavori, scarsamente avevamo tempo di divertirci. Minsk era un centro importante di rifornimento per l’armata, dove i convogli erano costantemente caricati e scaricati.
La vita per le truppe in questo settore erano certamente ben organizzata. La posta era distribuita, c’erano film per i soldati in licenza – noi non avevamo il permesso di vederli, biblioteche e ristoranti gestiti da civili russi, ma riservati interamente ai soldati tedeschi. I ristoranti erano troppo costosi per me e non ci andavo mai, ma Hals, che avrebbe sacrificato qualsiasi cosa per un buon pasto, spendeva tutto il suo denaro in questi posti, e una certa parte anche dei nostri! L’accordo era che ci avrebbe fornito un dettagliato resoconto della sua esperienza, che assolveva fedelmente, con molti abbellimenti. Sbavavamo con piacere quando lo ascoltavamo.
Eravamo molto meglio nutriti qui che di quando stavamo in Polonia, e potevamo integrare le nostre razioni spendendo poco-e ne avevamo realmente bisogno. Il freddo in quei giorni iniziali di dicembre era diventato estremamente acuto, ed era sceso a meno cinque gradi sotto zero. La neve, che cadeva in grande abbondanza, non si scioglieva mai, e ce n’era già oltre tre piedi in qualche posto. Evidentemente questo rallentò il movimento dei rifornimenti al fronte, e , secondo le truppe che ritornavamo dalle posizioni avanzate dove il freddo era ancora più aspro che a Minsk, i poveri tipi erano costretti a dividere le razioni che erano già ridicolosamente ridotte al minimo. Il cibo insufficiente combinato al freddo produsse molti casi di polmonite e di congelamento .
Il soldato dimenticato XXI – Il treno dell’orrore
Improvvisamente il treno rallentò. I blocchi dei freni grattarono contro le ruote, e I giunti sbatterono violentemente. Ci stavamo muovendo alla velocità di una bicicletta. Vidi la parte anteriore del treno girare a destra: stavamo deviando lungo un binario secondario. Il treno procedette per altri cinque minuti, e poi si fermò. Due ufficiali erano saltati giù da uno dei vagoni anteriori e stavamo camminando verso la parte posteriore del treno. Laus e altri due sergenti uscirono per incontrarli. Parlarono per un momento, ma non ci dissero nulla. Le persone lungo tutto il treno guardavano fuori. La foresta sembrava un possibile covo di terroristi. Il nostro treno era fermo da alcuni minuti quando udimmo un suono distante di ruote. Camminavamo su e giù per cercare di scaldarci quando il fischio del treno accompagnato da gesti indicò che dovevamo nuovamente ritornare ai nostri . Una locomotiva apparì a distanza sul binario che avevamo appena lasciato, era interamente oscurata.
Quello che vidi dopo mi gelò dal terrore. Desideravo essere uno scrittore geniale così avrei potuto fare giustizia della visione che apparve ai nostri occhi. Prima vedemmo un vagone carico di materiale ferroviario, spinto dalla locomotiva che nascondeva le sue luci fioche. Poi arrivò la locomotiva fumante, il suo carro di scorta, e un vagone chiuso con un buco sul tetto per il fissaggio di un fumaiolo corto, probabilmente il treno cucina. Dietro questo, un altro vagone con alti parapetti che portava soldati tedeschi armati. Una mitragliatrice a doppia canna difendeva il resto del treno, che consisteva semplicemente di vagoni aperti e piani come i nostri, ma carichi, con un estremamente differente tipo di carico. Il primo di questi che passò davanti ai miei occhi incomprensivi sembrava stesse portando un cumulo confuso di oggetti, che solo gradualmente divenne riconoscibile come un mucchio di corpi umani. Direttamente dietro questo mucchio altre persone si tenevano aggrappate insieme, in piedi o accovacciati. Ciascun vagone era colmo fino all’inverosimile. Uno di noi, più informato degli altri, ci disse in due parole quello che stavamo guardando: “prigionieri russi”. Pensavo di aver riconosciuto I cappotti marroni che avevo visto una volta in precedenza, vicino al castello, ma era realmente troppo scuro per essere sicuro. Hals mi guardò. Eccetto che per delle macchie rosse brucianti causate dal freddo, la sua faccia era bianca come un lenzuolo.
Il soldato dimenticato XX – Verso Minsk
Nel corso della sua strigliata ci aveva fatto capire, abbastanza giustamente, che se non potevamo sopportare un po’ di freddo e un vago, possibile pericolo, noi non saremmo mai sopravvissuti al fronte. Sarebbe stato certamente idiota essere uccisi da qualche anarchico prima di aver potuto vedere qualche cosa. Stavamo viaggiando attraverso una foresta di pini tozzi, coperti dalla neve. Avevo un mucchio di tempo per riflettere il problema di coscienza che il sergente mi aveva inculcato. Il nord della Polonia sembrava essere scarsamente popolato. Avevamo superato solo pochi piccoli villaggi. Improvvisamente, proprio di fronte al treno, notai una figura correre accanto ai binari. Non pensavo che potevo essere la sola persona che l’avesse notato, ma apparentemente nessuno nei vagoni di testa stava facendo qualche cosa. Rapidamente misi il mio Mauser in posizione utile, e presi la mira verso qualcuno che poteva essere un terrorista.
Il nostro treno stava procedendo molto lentamente: un perfetto obiettivo per una bomba. In pochi minuti ero all’altezza dell’uomo. Non potevo scorgere nulla di inusuale in lui. Era probabilmente un boscaiolo polacco che era venuto per curiosità. Mi sentivo sconcertato. Ero stato sul punto di far fuoco, e ora nulla sembrava giustificarlo. Mirai deliberatamente sulla sua testa e tirai il grilletto. Lo sparo scosse l’aria, e il calcio del mio fucile colpì violentemente la mia spalla. Il povero tipo scappò via il più velocemente possibile, ovviamente temendo il peggio, e sentivo certamente che la mia sconsiderata azione aveva creato un altro nemico del Reich. Il treno mantenne la sua velocità, e pochi minuti dopo Laus apparì, continuando la sua infinita ronda malgrado il freddo. Mi lanciò uno sguardo curioso.
Avevamo deciso di prestare servizio a turno. Mentre due di noi controllavano, il terzo avrebbe cercato di scaldarsi sotto il telone. Eravamo stati sul treno per circa 8 ore, e ci sentivamo preoccupati per la notte, che sarebbe stata trascorsa indubbiamente in queste condizioni. Venti minuti prima avevo preso il posto di Hals, e per ventiquattro minuti ero stato incapace di controllare il mio violento tremolìo. La notte si stava avvicinando; forse anche Minsk. Il treno si muoveva lungo un solo binario. A Nord e a Sud eravamo circondati dalla foresta scura. Nell’ultimo quarto d’ora il treno accellerò, e tale fatto avrebbe indubbiamente causato le nostre morti per congelamento. Avevamo anche consumato una gran parte delle nostre razioni per mantenerci caldi
Il soldato dimenticato XIX – Laus, il nostro feldwebel
Cosa diavolo pensate di fare qua sotto? Laus gridò. Dove, in nome di dio, pensate di essere e che cosa pensate voi dobbiate fare su questo treno? Hals, spontaneo di natura, interruppe il nostro superiore. Disse che era impossibile stare all’esterno del telone perchè il freddo era terribile, e non c’era nulla da sorvegliare in ogni caso. Sembrava che nel fare queste osservazioni, Hals dimostrasse una mancanza totale di oggettività. Come un gorilla arrabbiato il sergente prese il nostro compagno per il colletto e lo scosse violentemente, riempendolo con un torrente di insulti.
Vi farò rapporto! Alla prima fermata possibile, vi manderò a un battaglione disciplinare. Questo è nulla rispetto alla pena prevista per l’abbandono del posto di guardia. Potreste avere il plotone d’esecuzione….che cosa sarebbe accaduto se un vagone fosse esploso dietro di voi? Voi non avreste avvertito nessuno da quel vostro buco!
Perchè? Lensen chiese. C’è un vagone che sta per esplodere? Chiudi la bocca idiota!!! Ci sono terroristi lungo l’intersa linea, pronti a rischiare qualsiasi cosa. Quando non fanno saltare I treni, lanciano esplosivi o bombe incendiarie. Vi trovate qui precisamente per prevenire queste azioni. Prendete I vostri elmetti e venite davanti al vagone, o butterò tutti giù dal treno !
Non aspettammo che lo ripetesse, e malgrado il freddo che mordeva le nostre facce, prendemmo le posizioni che ci aveva attribuito. Laus procedette attraverso i vagoni carichi, aggrappandosi come si spostava da uno all’altro. Non era veramente un prepotente, ma un uomo con una chiara idea che il lavoro doveva essere svolto. Non lo vidi mai cercare di rendere le cose più semplici per se stesso, dovuto probabilmente al fatto che sentivo che doveva avere una vena di simpatia, anche se non gli avevo ancora mai parlato. Nessuno degli altri sergenti della compagnia erano così rigidi; chiedevano di essere risparmiati per un grande lavoro; ma quando arrivava il momento Laus lavorava come se non più di loro. Era il più anziano dei sergenti; forse era già stato al fronte. Infatti, era come ogni sergente maggiore nel mondo: paura della responsabilità, e allo stesso tempo ci procurava momenti duri.
Il soldato dimenticato XVIII
Eravamo perseguitati dalla cattiva sorte. Eravamo bloccati su un vagone aperto; la pioggia si era trasfomata in neve; il freddo insopportabile era intensificato dal movimento del treno. Dopo le dovute considerazioni ci rifugiammo sotto l’incerata che ricopriva il grande motore di un dornier 17. Questa manovra ci difese dal freddo, e stringendoci l’un l’altro, cercammo di raggiungere una parvenza di calore. Stavamo là già da un’ora buona, urlando con riso sul nulla. Il treno intanto stava rotolando via e noi non avevamo la più’ pallida idea di quello che stava accadendo fuori.
Di tanto in tanto potevamo udire treni che andavano in altra direzione. All’improvviso , Lensen penso’ di aver sentito una voce gridare oltre il rumore delle ruote. Attentamente si affaccio’ fuori dal nostro riparo. E’ Laus, disse con calma, girandosi verso di noi e tirando giu’ il telone di nuovo.
Dieci secondi più tardi, il telone fu sollevato di nuovo a rivelare il sergente, fumante di rabbia alla vista delle nostre 3 facce felici. Laus, che indossava elmetto e guanti, sembrava molto arrabbiato. La sua faccia e il cappotto erano impolverati dalla neve, come il resto del treno, il cui lungo profilo sobbalzava e dondolava dietro di lui. L’aria risuonò di un acuto “Achtung” ma il movimento spasmodico del treno prevenì che l’ordine fosse eseguito con la consueta rigida precisione. La scena che seguì è degna di una caricatura. Posso ancora vedere il grande orsacchiotto Hals, che dondolava da destra a sinistra come se cercasse di mantenere una postura rigida. In quanto a me, il mio lungo cappotto si era incastrato in una delle numerose sezioni del motore dell’aereoplano, tale fatto mi impedì di raddrizzarmi. Laus non era meglio di noi nel mantenere un atteggiamento dignitoso. Finalmente, esasperato, si chinò con un ginocchio sul pavimento. Seguimmo il suo esempio, e da una certa distanza potevamo essere considerati una quartetto di cospiratori che sussurravano segreti. Infatti, io e i miei compagni stavamo subendo una magistrale ramanzina.
Il soldato dimenticato XVII
Il nostro sergente si era sistemato su una pila di bagagli ferroviari e si accese una sigaretta. Sembrava stanco. Non potevamo accettare l’idea di una notte all’agghiaccio. Sembrava impossibile che ci avrebbero lasciato là. Sapevamo che il fischio della partenza ci sarebbe stato presto, e che tutti quegli idioti che non avevano avuto la pazienza di aspettare, non avrebbero poi avuto molto tempo per impacchettare i loro sacchi a pelo in fretta. Ma a conti fatti, avremmo fatto meglio a imitarli e guadagnare così due ore di sonno; due ore più tardi stavamo ancora seduti sulle pietre fredde della strada. Stava diventando sempre più freddo, e una pioggerellina aveva comininciato a cadere. Il nostro sergente era indaffarato a costruirsi un riparo con i bagagli ferroviari, non una cattiva idea dopotutto. Quando coprì il tutto con la sua coperta impermeabile, era completamente riparato – la vecchia volpe!!!!
Dovevamo ora trovarci qualche riparo per di più. Non potevamo spingerci troppo lontano dalle nostre armi, ma le lasciammo nondimeno, con le loro canne all’aria, esposte alla pioggia, aspettandoci una ramanzina più tardi. I posti migliori ovviamente, erano già stati presi per tempo, e la sola cosa che noi potevamo fare fu quella di trovare riparo sotto I vagoni ferroviari. Certamente ci era venuto in mente di provare ad entrare, ma le porte erano chiuse con cavi metallici. Pieni di proteste, strisciammo nei nostri ripari inquientanti e allo stesso tempo approssimativi. La pioggia ci batteva ai lati, ed eravamo furiosi. Più tardi questa rabbia mi fece sorridere.
Come meglio potemmo, allestimmo un qualche riparo dalla pioggia. Era questa la mia prima notte all’aria aperta, e non c’è bisogno di dire che non chiusi mai I miei occhi per più di quindici minuti alla volta. Posso ricordare I lunghi periodi in cui fissavo la grande asse che fungeva da tetto del mio letto. Essa spesso sembrava come se si stesse muovendo a causa della mia stanchezza, come se il treno stesse per muoversi; mi sarei svegliato all’improvviso per scoprire che nulla era cambiato, piombando di nuovo nel dormiveglia, solo per svegliarmi di nuovo di soprassalto all’erta. Al primo raggio di luce, abbandonammo questo riparo di fortuna, intorpiditi e indolenziti, come una squadra di cadaveri dissepolti.
Ci allineammo alle otto, e marciammo al binario d’imbarco. Hals sottolineò diverse volte che avremmo potuto perfettamente trascorrere un’altra notte al castello. Nessuno di noi aveva la più pallida idea delle necessità deprimenti della vita militare in tempo di guerra. Questa non era stata che la nostra prima notte fuori, ma eravamo destinati a trascorrerne molte altre che sarebbero state di gran lunga peggiori. Per il momento eravamo a guardia del treno. La nostra compagnia era stata divisa fra tre lunghi convogli di materiale militare, due o tre per vagone. Mi ritrovai con Hals e Lensen su un vagone piatto che portava ali di aereoplano contrassegnate con una croce nera, e altre parti coperte da teloni. Erano I rifornimenti destinati alla Luftwaffe; secondo le iscrizioni che avevamo potuto leggere, provenivano da Ratisbona e stavano andando a Minsk. Mink, Russia. Le nostre bocche improvvisamente diventarono secche.